A quasi 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) è stato, soprattutto per la mia generazione, una eccezionale occasione di grazia; ma qualcuno potrebbe domandarsi: come è vissuto oggi questo evento nelle nostre Chiese? Non tocca a noi fare valutazioni sul dopo-Concilio; occorre piuttosto che, senza indugio, con maggiore sollecitudine, ci poniamo tutti a servizio del Vangelo in un mondo in rapidissima trasformazione. La nostra è una società plurale, globalizzata, multi-religiosa: in essa la Chiesa ha la possibilità di divenire veramente cattolica ed ecumenica, ma bisogna che si fidi di Dio, degli altri e, dall’interno, di se stessa. Il Concilio è uno stupendo mosaico che va completato da ogni generazione che si sussegue all’altra. Non basta rileggere i documenti, occorre ricreare strutture di dialogo, di riflessione, di responsabilizzazione. Occorre forse anche più coraggio e profezia, perché il nostro tempo, con tutte le sue sfide, va accolto per mettersi con esso sotto il giudizio della Parola di Dio e testimoniare la vocazione a divenire “altro” dal mondo. In fondo, uno dei motivi della nostra insufficienza a dialogare coincide con l’incapacità di riconoscere quanto il mondo contrassegni e condizioni la nostra ottica. Il Concilio ci spinge quindi a conversione. Il grande pontefice Giovanni Paolo II ce ne ha dato l’esempio. Penso in questo momento alla sua sincera richiesta di perdono fatta agli ebrei. Una richiesta di perdono che ha potuto esprimersi grazie al Concilio e alla disarmante profezia di Giovanni XXIII, ma che era nata in lui già in Polonia in tempi di persecuzione. Dobbiamo davvero impegnarci perché il triennio 2012-2015 sia una grande occasione di grazia per la nostra Chiesa perugino-pievese, non tanto da un punto di vista celebrativo, ma dei contenuti. Chiedo al Signore che tutti noi: vescovo, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici, sappiamo vivere, nel nostro mondo divenuto plurale, nel dialogo e nella serenità; ma la nostra serenità consiste in una cosa molto semplice: la consapevolezza di essere consegnati da Dio a questa storia in tutto e per tutto. Non si tratta di una serenità ingenua; essa coincide con l’adesione alla sapienza paolina: la Chiesa si rassicura perché è convinta di non sapere nel mondo altro che “Cristo, e questi crocifisso”. Forse oggi ci è data la possibilità di non potere più offrire al mondo ricette che non possediamo, ma solo la sapienza di Gesù crocifisso e risorto. Senza questa sapienza, la Chiesa non avrà mai né il coraggio né la possibilità di dialogare con gli uomini e le donne di oggi. Scriveva san Francesco ad un ministro provinciale dei Frati minori: “Non pretendere mai che per te divengano migliori i cristiani”.

AUTORE: Gualtiero Bassetti