“Abbi pietà di me”

Un vero e proprio invito alla gioia ci propone la liturgia della Parola di questa XXX domenica del TO in cui primeggia l’azione risanatrice del Signore che rinnova le condizioni di vita restituendo la libertà a chi l’ha perduta e la salute fisica e morale a chi è incappato nel male.

Prima lettura

Su questa linea è già la prima lettura tratta dal libro del profeta Geremia che annuncia il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio babilonese. In soli tre versetti ben cinque volte c’è l’alternarsi dei verbi ‘ricondurre’ / ‘riportare’ come a voler assicurare l’azione risolutrice del Signore.

Salmo

Così il Salmo responsoriale, che è un Salmo ‘ascensionale’ (proprio di chi sale / ritorna a Gerusalemme) ricorda l’evento del ritorno nella Città santa. Con le parole “Quando il Signore ristabilì le sorti di Sion ci sembrava di sognare”, il salmista esprime a nome del popolo la gioia incontenibile che quasi non sembra vera per aver ottenuto la libertà dai nemici e il rinnovato possesso dell’amata terra.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal Libro di Geremia 31,7-9

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 125

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli ebrei 5,1-6

VANGELO
Dal Vangelo di Marco 10,46-52

Seconda lettura

Il brano della Lettera agli Ebrei sembra cambiare messaggio, ma in realtà ci addita la figura di Colui che viene donato per il ristabilimento dei rapporti tra l’umanità e il Padre. In continuità con quanto ascoltato la scorsa settimana, la Lettera propone un parallelismo tra il sacerdozio alla maniera dell’Antico Testamento e il sacerdozio di Cristo. Secondo l’AT il sacerdote viene scelto tra gli uomini “per offrire doni e sacrifici per i peccati”.

Ma proprio perché uomo deve egli stesso prima di tutto offrire sacrifici per se stesso e solo allora può far sì che la sua offerta per l’espiazione dei peccati altrui venga gradita. E tuttavia, il ruolo è così importante che non viene attribuito da se stesso, ma alla maniera di come Dio ha fatto con Aronne chiamandolo ad essere sacerdote, e da lui tutta la sua discendenza ha ereditato il dono del sacerdozio.

Così Cristo. Non si è attribuito nessun titolo, ma il Padre lo ha confermato con le parole “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”. A questo punto il Testo rimanda ad una figura precedente a quella di Aronne. Cristo non è infatti della tribù di Levi (tribù dalla quale proveniva Aronne), e la somiglianza non è quindi con il sacerdozio aronita, ma con quello di Melchisedek (Sal 110) il sacerdote che incontrò Abramo e che non ha nessuna ‘origine’.

Quindi, da una parte la Lettera dà molta importanza al culto e ai ruoli giudaici, dall’altra esalta la superiorità del sacerdozio di Cristo.

Vangelo

La pagina del Vangelo ci conduce a scoprire il messaggio salvifico e beneficante di Cristo. Si tratta dell’ultimo episodio che l’evangelista Marco riporta prima dell’entrata di Gesù a Gerusalemme: la guarigione del cieco di Gerico. Il luogo è appunto Gerico, che riteniamo Gesù abbia percorso solo di passaggio. È proprio nel mentre sta partendo che avviene l’incontro con Bartimeo.

Anche se cieco, non può non accorgersi del passaggio di Gesù che è “insieme ai suoi discepoli e a molta folla” e il seguito del racconto fa prender coscienza del fatto che a Gerico, e quindi anche da parte del cieco, era rinomata l’attività risanatrice di Gesù. Bartimeo si esprime nei riguardi di Gesù con un’esclamazione che è sia un riconoscimento politico-messianico (figlio di David) che una richiesta di misericordia (abbi pietà di me).

Per il tempo di Gesù era audace o quasi rischioso esprimersi così. La gente rimprovera il cieco ordinandogli di tacere non perché dava fastidio, ma perché con il titolo “figlio di Davide”, riconoscendo ufficialmente il ruolo messianico, poteva incorrere in diatribe politico- teologiche. Ma la fede di Bartimeo prevale sul ‘buon senso’ dei presenti e grida ancora più forte “figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Questo grido segna la svolta di Bartimeo che, invitato da Gesù ad andare da Lui, getta via il mantello, balza in piedi e raggiunge Gesù. Come ai discepoli Giacomo e Giovanni, anche qui Gesù manifesta al cieco totale disponibilità (“che cosa vuoi che io faccia per te?”) e, nonostante sappia di cosa abbia bisogno Bartimeo, lascia che sia lui a fare la richiesta. Ora Bartimeo interpella Gesù con un titolo che è lo stesso con cui la Maddalena si rivolgerà a Gesù risorto ( Gv 20,16), “Rabbunì” (Maestro mio), dimostrando così di aver fatto un vero e proprio percorso interiore che lo ha condotto ad avere fede in Gesù ancor prima di essere guarito perché ha abbandonato il mantello, la sua ‘sicurezza’.

Il miracolo avviene infatti attraverso le sole parole di Gesù che dona la guarigione grazie alla fede dimostrata dall’ex cieco a cui Gesù dice quanto già pronunciato all’emorroissa “va’, la tua fede ti ha salvato”. Come il popolo ebreo ha assistito al ristabilirsi della condizione di libertà e va a Gerusalemme, così l’ex cieco ha riottenuto la libertà (“che io veda di nuovo!”) e segue Gesù che sta recandosi a Gerusalemme.

La lontananza da Gerusalemme non consentiva al popolo esiliato l’espletamento dei riti religiosi e la condizione di cecità di Bartimeo implicava l’esclusione dalla liturgia ( Lv 21,18) ed uno status di ‘impurità’. L’esilio e la cecità sono state tuttavia occasioni per ‘conoscere’ il Signore e maturare la fede in Lui.

Anche all’uomo di oggi il Signore vuole dare l’opportunità di “ristabilirsi” come essere umano e cristiano, ma come ha fatto Bartimeo deve accorgersi del passaggio di Cristo, lasciare le “sicurezze” e mettersi alla sua sequela.

Giuseppina Bruscolotti