Addio, mia bella addio. La caserma Piave torna al Comune

Orvieto / Una struttura che aveva portato vitalità nel centro storico

Così diceva una vecchia canzone degli anni romantici: “Addio, mia bella, addio!- l’armata se ne va – e se non partissi anch’io – sarebbe una viltà”. Il ritornello, che rispecchia una vita d’altri tempi improntati a ben altro spirito di quello di oggi, ci ha letteralmente tempestato gli orecchi, in questi giorni di fine aprile, in cui spirano i tempi per la programmata dismissione da parte dell’Esercito italiano e relativa riconsegna della Caserma Piave, o altrimenti detto Casermone, al legittimo proprietario che sarebbe il Comune di Orvieto. Il fatto non è che ci rallegri, perché questa struttura, apparsa subito enorme per una piccola città, era riuscita con il tempo ad integrarsi nel suo contesto, fino a diventare un tutt’uno con essa. Sembrava che perfino il suo profilo, alla sommità della rupe, visto da lontano, specie dalla pianura, con questa avesse ottenuto la sua definitiva sistemazione. Dagli anni Trenta, in cui fu costruita, in poi, dobbiamo lealmente riconoscere che quegli amministratori di un tempo avevano ben visto l’affare: onore quindi al merito! E grazie anche alle Forze armate italiane! Nessuno può negare che il nome e la stessa comunità orvietana ne abbia tratto vantaggi e sostanziosi benefici, dal punto di vista culturale, demografico ed economico. Assommata tale realtà con quella dell’Accademia femminile di Educazione fisica prima e della Smef (Scuola militare di Educazione fisica) poi, un certo credito la città, uscita da uno stadio di vita a carattere quasi meramente agricolo, l’aveva pur conseguito. Specie quando ospitò, in prima versione, la forza di terra dell’Aeronautica militare, che la privilegiò di una rappresentanza più scelta e qualificata. Quindi non era più solamente il Duomo e il suo patrimonio artistico a conferirle fama e distinzione, ma la massa dei giovani che arrivavano qui da ogni parte d’Italia, fosse anche per un periodo limitato, i quali, oltre a portare benessere economico, avevano aperto le sue porte ad un flusso nuovo e più ricco di vitalità e di benessere. Perfino il suo tessuto demografico ne aveva risentito in bene e in crescita. E così la consistenza residenziale, che si era dovuta adeguare alle esigenze dell’accresciuta richiesta. Non sappiamo se ci sia uno studio comparato, fatto di cifre, che riguarda dati e indici di quel periodo: sarebbe interessante per l’evoluzione storica del Novecento orvietano. Ciò che avverrà in questi giorni, segnerà, comunque, una svolta decisiva non solo per la storia dell’istituzione, come tale, ma anche della stessa città. In bene o in male? Ai posteri l’ardua sentenza. Sapranno ora i nostri amministratori attuali rimediare con altrettanta sagacia e lungimiranza al vuoto enorme, che l’uscita dell’Esercito lascerà sulla rupe? I cosiddetti traguardi finora raggiunti, non convincono: l’espansione territoriale non compensa il calo demografico pauroso che l’anagrafe ha dovuto registrare, specie nel Centro storico. Da domani poi tutta la salomonica struttura, abbandonata, invecchierà di scoppio, e svuotata di ogni contenuto, precipiterà sempre più, velocissimamente in rovina, di cui i numerosi vetri saltati alle finestre ed altri segni altrove, ne sono eloquenti premonitori. Occorre far presto a trovarne un rimedio e, magari, pregare Iddio che ce la mandi buona.

AUTORE: M.P.