Africa: lo sviluppo è prima di tutto una sfida culturale

Un intervento del nostro missionario padre Pierli sulla situazione del continente africano

URGENZA DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE

In Africa sviluppo (maendeleo in kiswahili) è una parola magica. Tutti lo vogliono, tutti lo sognano! Pochi però ne immaginano le implicanze, le esigenze e le difficoltà. Non pochi aspetti della cultura e tradizioni locali sono decisamente degli ostacoli. Senza una profonda rivoluzione culturale lo sviluppo non decollerà. Qualche esempio! Le mucche non si vendono anche quando la siccità è devastante e non c’è né pastura né fieno; un alto numero di mucche è segno di prestigio e di peso politico. Se uno ha poche mucche è nessuno! Un ignorante con molte mucche, ha influenza socialeL’erba non si taglia, si brucia. Quando c’è la siccità un po’ di fieno sarebbe la salvezza di tanti animali. Però fare entrare l’idea del fieno è una battaglia in salita. Le donne non devono andare a scuola altrimenti, dicono gli uomini, vorranno comandare e non saranno più sottomesse e docili come loro le vogliono.

Allora le bambine non si mandano a scuola, tenendo alto in questo modo l’analfabetismo femminile. Se uno sta male è colpa del malocchio; non è perché è sottonutrito, o ha bevuto acqua inquinata o alcolici velenosi. Qualche spirito cattivo gli deve essere entrato nel corpo. Sì! Senza una vera liberazione mentale e una nuova lettura degli eventi della vita lo sviluppo non potrà decollare. Lo sviluppo esige un profondissimo impegno educativo delle masse popolari altrimenti, nonostante un pur massiccio dispendio di energie e di soldi, nessun traguardo di rispetto potrà essere raggiunto. Nell’Istituto per l’Apostolato sociale e lo sviluppo che ho fondato e che dirigo a Nairobi dal 1994 le culture locali e la mentalità della gente sono oggetto di studio e di ricerca continua. La prima povertà non è l’assenza di soldi, non è quella economica ma quella culturale e delle idee, dei pregiudizi, delle convinzioni frutto di ignoranza e di paure.

Tanta gente mi chiede se io missionario rispetto le culture africane. Io rispondo che il mio rispetto è critico. D’altronde il Cristo dei vangeli, esempio di ogni missionario, è stato fortissimamente critico di non poche tradizioni locali e soprattutto della visione della vita e delle credenze soggiacenti a quelle tradizioni. Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato, disse Cristo. Sabato sta benissimo per tradizioni popolari e costumanze. A lungo andare con il cambiare delle condizioni di vita, le tradizioni invece di aiutare a vivere soffocano la persona e paralizzano la creatività e lo spirito di iniziativa. Non si può più accettare che il portatore di handicap sia un maledetto da Dio o che l’Aids sia una vendetta degli spiriti ancestrali perché certe tradizioni, come l’eredità della moglie, vengono abbandonate.

DA UNA MENTALITÀ DI DIPENDENZA ALLO SPIRITO DI INIZIATIVA

Per gli ultimi 500 anni agli africani è stato chiesto di non pensare, di non decidere, di non prendere iniziativa ma solo di eseguire. Sia durante i secoli della schiavitù che poi al tempo del colonialismo! Chi prendeva iniziative, chi aveva idee proprie era un sovversivo e quindi severamente punito. L’africano doveva essere convinto che aveva i muscoli ma non la testa. Altri, i bianchi, altrove, a Londra, Parigi, Berlino, Bruxelles avrebbero pensato e preso decisioni.

Loro dovevano eseguire. Una tremenda mentalità di dipendenza e di passività. Il rovescio dello spirito di iniziativa e di imprenditorialità. La schiavitù fisica è finita, il colonialismo è di altri tempi ma la mentalità di dipendenza continua. E’ una specie di cancro dal nome di complesso di inferiorità che continua ancora a minare il tessuto umano africano. La maggioranza degli africani non credono in loro stessi. I trenta anni di esperienza africana mi hanno convinto di quanto avesse ragione il brasiliano Paolo Freire nel suo famosissimo “Pedagogia degli oppressi”: la più grande povertà dei poveri non è finanziaria ma mentale; se non si liberano da un certo tipo di mentalità non è possibile sconfiggere la povertà e iniziare un’era nuova.

LA DONNA CARTA VINCENTE PER LO SVILUPPO

È convinzione comune a tutti coloro che lavorano per lo sviluppo in Africa. La donna africana è prima di tutto madre e quindi profondamente interessata al futuro dei bambini. Sogna la loro crescita, l’educazione, una casa, la famiglia. L’interesse per il futuro genera il senso del risparmio, lo spirito di intraprendenza e atteggiamenti imprenditoriali uniti ad un grande spirito di sacrificio. Gli uomini invece sono per la soddisfazione immediata dei bisogni, mangiare, bere, sesso, e hanno il culto dell’apparenza attraverso bei vestiti, un orologio costoso e cose del genere. I loro salari evaporano così! Mentre l’attenzione alla crescita fisica e umana dei bambini, la pianificazione per la loro educazione, l’attenzione al miglioramento della casa, fa delle donne le candidate ideali per il risparmio e per lo sviluppo. Non per niente il cosiddetto banchiere dei poveri, l’inventore del microcredito in Bangladesh Yunus Mohamed ha iniziato con le donne la sua quasi miracolosa campagna per il microcredito e per i microprogetti. È quello che abbiamo iniziato con successo, anche noi, in Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi. Lentamente ma decisamente una profonda rivoluzione culturale sta dilagando e la gente, particolarmente le donne, cominciano a credere che un futuro diverso è possibile. Non pensato e regalato da altri ma costruito con le proprie mani. Dio ha seminato infiniti talenti anche in Africa. La gente comincia a crederci.

AUTORE: Padre Francesco Pierli