Al cuore della legge di Mosè

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini VI Domenica del tempo ordinario - anno A

L’apertura della liturgia di questa domenica è di quelle che ti mettono davanti alle tue responsabilità senza tanti complimenti: a ognuno sarà dato quello che a lui piacerà (Sir 15,17). Come dire che ognuno porta la responsabilità delle proprie scelte. Il testo sacro aveva plasticamente preparato la sentenza con due coppie di immagini: il fuoco e l’acqua, la vita e la morte (vv. 16-17). Ognuno è libero di stendere la mano dalla parte che gli piacerà. La vita e la morte. Non sta parlando solo dell’aldilà, ma in primo luogo del presente storico. Alcune scelte danno morte, anche quando sembrano dare vita. L’esempio più evidente è l’esperienza della droga: chi la assume, lo fa perché quella gli promette vita. In realtà dopo qualche ora si ritrova avvolto nelle spire della morte. La lettura del Vangelo ci porta in pieno Discorso della montagna.

Due domeniche fa ne ascoltammo il prologo, le beatitudini; domenica scorsa Gesù ci rivelava la funzione storica della comunità dei discepoli, la Chiesa: essa è sale, luce, città posta sul monte. Oggi inizia assicurando che il suo insegnamento non si oppone a quello antico, trasmesso dagli scritti biblici, ma ne è il compimento. In Lui si adempiranno quanto predissero Mosè, i Profeti e i Salmi (cfr. Lc 24,44). È il modo di praticare quell’antico insegnamento che va superato. “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei…” (5,20). Proviamo a entrare dentro l’affermazione, per molti forse un po’ sibillina. La percezione di queste due categorie di Giudei, scribi e farisei, corrente fra i cristiani, è generalmente negativa, quasi fossero sinonimo di persone false, ipocrite e mentitrici per professione.

Storicamente non è così. Anzi i farisei si distinguevano per lo zelo della Legge; praticavano il massimo di quanto era prescritto e anche di più. Gli scribi erano infaticabili indagatori della Scritture. Il loro guaio era la convinzione che, quanto più scrupolosamente si osservava la norma, tanto più Dio diventava creditore. Il superamento che Gesù esige dai discepoli non consiste nel rendere le osservanze sempre più difficili, ma nello spostarne il livello: andare oltre l’osservanza della lettera, per scoprirne lo spirito. Le quattro antitesi che seguono ne illustrano il pensiero nel concreto. Ciascuna prende avvio da un comandamento del Decalogo: “Non uccidere; non commettere adulterio; non spergiurare”. Egli si pone in continuità con l’insegnamento tradizionale, e nello stesso tempo ne rompe la gabbia legalistico/giuridica, e scende nel profondo di quei meccanismi mentali, che la Bibbia chiama “cuore”. “Non uccidere”.

La normativa prevedeva che l’omicida comparisse davanti ai giudici per essere condannato. L’ira invece non era punibile e nemmeno l’insulto al fratello. Gesù invece pone tutto, in qualche modo, su un piano analogo. I meccanismi profondi che spingono l’uomo ad uccidere un suo simile sono gli stessi che si attivano quando ci si adira, ci si insulta, ci si usa violenza. In considerazione di questa realtà, la riconciliazione con il fratello prevale sull’obbligo dell’offerta cultuale. All’importanza di una rapida riconciliazione, l’evangelista dedica i due versetti successivi: è preferibile venire a un accordo con l’avversario, piuttosto che rischiare di cadere nelle mani della giustizia (vv. 25-26). “Non commettere adulterio”. Nella mentalità giudaica del tempo, si commetteva adulterio avendo rapporti sessuali con la moglie o la fidanzata di un giudeo. (Il rapporto con la moglie di un pagano era esente da pena). Secondo Gesù invece l’adulterio ha le sue radici nel cuore (v. 28).

All’argomento adulterio, il Discorso della montagna collega il tema del divorzio. La normativa giudaica, oltre ad essere maschilista, aveva maglie molto larghe. Quando una moglie non piaceva più a suo marito, riceveva da lui il libello del ripudio e se ne tornava a casa di suo padre. Gesù equipara quest’usanza all’adulterio. (Non è fuori luogo notare come l’attuale e antica norma ecclesiale sul divorzio risalga a Gesù). “Non spergiurare”. La parola di Gesù, che vieta il giuramento in ogni caso, va capita tenendo presente la complicata casistica giudaica, che prevedeva un’ampia gradazione di giuramenti, alcuni dei quali obbligavano gravemente, altri meno, altri non obbligavano per niente. Avevano trovato scappatoie per eludere la veridicità. L’insegnamento di Gesù trancia di netto su questi argomenti; ha di mira solo la sincerità: se è sì, è sì, altrimenti è no. Giri di parole, giustificazioni preventive, certificazioni non richieste e quant’altro, non depongono a favore della sincerità.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi