Benvenuto, Eccellenza!

Benvenuto, Eccellenza. È la festa di sant’Ubaldo, e io scrivo mentre nella nostra splendida cattedrale il reggente della Casa pontificia, mons Paolo De Nicolò, presiede il solenne pontificale. Io non ci sono: nella mia comunità di periclitanti, le difficoltà nascono come i funghi dopo la pioggia e spariscono come i fantasmi all’alba. Benvenuto, Eccellenza! Non riesco a darti del “voi” o “lei” perché con te, che eri un anno avanti a me, ho mantenuto un’amicizia particolarmente intensa, che non ho mantenuto con i miei compagni di classe. Anche per scusarmi dell’assenza al sacro rito, parteciperò all’altro rito, quello mangereccio, senza esagerare, per carità, e chiederò la parola, e parlerò (senza esagerare). Dirò di quanto sia stata seria l’educazione che abbiamo ricevuto, dietro le usanze “strane” (come l’obbligo di darci del “lei”, tra ragazzi) e gli orpelli d’altri tempi. Vestivamo la “paonazza”, una talare fatta di due parti, tutt’e due di lana azzurra: quella più interna di particolare aveva solo i bottoni rossi, quella esterna era a campana, aperta sul davanti, con due lunghe code di un dieci di cm di larghezza, che partivano da sotto le ascelle e sfioravano la terra, e una fodera rossa come i bottoni, cosicché camminando il rosso acceso appariva e spariva in continuazione: fossimo stati a San Firmìn, ci avrebbe assalito una legione di tori. Scarpe con la fibbia. E in cappella indossavano la “griccia”, una cotta plissata e aderente, che ai fisici atletici come quello di don Paolo conferiva un tocco d’eleganza da paggi del Re di Castiglia, mentre i tracagnotti come me li riduceva a culatelli di Parma legati col filo fitto. Ma dietro queste pinzallacchere c’era un’offerta formativa di straordinaria solidità e profondità. I superiori in foro externo (rettore mons. Pascoli, vice rettore mons. Agostini, economo mons. Bordin) facevano con coscienza il loro dovere di guardiani del pretorio, che era una struttura capace di trasmettere disciplina e dedizione con assoluta tranquillità. Ma erano i “superiori in foro interno” coloro che ci nutrivano con fior di frumento e con miele di roccia. I padri spirituali Felici, futuro segretario generale del Concilio ecumenico, e Giovanni Canestri, futuro arcivescovo di Genova (per gli amici, Johnny Basket); e il “ripetitore” del pomeriggio, don Carlo Molari: gente che quello che è essenziale per la vita d’un prete l’aveva chiarissimo. In Bolivia – mi dicono – i preti giovani in maggioranza lasciano il sacerdozio entro cinque anni dall’ordinazione. Questione d’ormoni troppo vivaci? O di sangue troppo caliente? Don Paolo ed io, e tutti gli altri che allora erano con noi, abbiamo vissuto su un altro pianeta. Per grazia di Dio e intercessione della Madonna della Fiducia. Benvenuto, Eccellenza!

AUTORE: Angelo M. Fanucci