Cinquant’anni or sono

di Angelo M. Fanucci

L’anno 2018 viene esattamente cinquanta anni dopo il 1968. E il 1968 fu un anno molto speciale, al punto di essere decapitato sul nascere e diventare “il Sessantotto”: con l’articolo, ma anche con 1900 anni di meno.

Anno fatidico. Il Maggio Francese, tutto maiuscolo. Il polline che arriva da Berkeley, e in Europa le università che prendono fuoco l’una dopo l’altra. Il “castlèno” Mario Capanna che si dimentica d’essere stato inviato a studiare alla Cattolica dal suo vescovo mons. Cicuttinì e, nonostante i colpi d’anca dei suoi concorrenti, si mette alla testa di un esercito policromo, rumoroso e soprattutto totalmente all’oscuro di dove quella bagarre ci avrebbe dovuto portare. L’ultimo dei loro mille slogan, il più sciagurato: “Colpire al cuore lo Stato delle multinazionali”; ma le multinazionali il cuore non ce l’hanno, se ce l’avessero non farebbero tanto male ai poveri.

Quegli slogan, personalmente, mi lasciavano in apnea. Non li capivo.

E oggi, a cinquanta anni di distanza, i mass media ancora non li capiscono, quegli slogan, e sul Sessantotto sparano giudizi diametralmente opposti Diego Fusato, giovane ricercatore in Storia della filosofia presso l’Università San Raffaele, su Il fatto quotidiano giudica il Sessantotto l’anno più sciagurato della storia recente.

Al contrario, Mauretta Capuano sostiene che nulla è più stato come prima, dopo le proteste esplose nel Sessantotto.

Anch’io a suo tempo ho detto la mia sul tema con un volumetto pubblicato da Cittadella editrice nel 1999, Io prete padre, sessantottino non pentito. Ero rimasto shockato dalla traumatizzante banalità di quello che l’anno precedente, a Capodarco, nel corso di un incontro organizzato per capire l’anima vera del terrorismo, ci avevano detto Claudio Piunti e Anna Laura Braghetti, due terroristi apicali, che però non avevano mai ucciso nessuno. Acqua tiepida.

E m’ero convinto che l’unico Sessantotto serio era quello che io battezzavo come “Sessantotto minore”: i gruppi di volontariato, le associazioni di solidarietà, i comitati di quartiere, ecc.

Apriti cielo! I “duri e puri” della sinistra, quella che più si sinistra non si può nemmeno con l’inchiostro di china, mi bastonarono sul ritmo dell’Internazionale.

Soprattutto Francesco Santanera mi trattò come una pezza da piedi, lui che, senza riuscirci, aveva tentato di politicizzare la Comunità di Capodarco e aveva battuto il naso contro la mole (spirituale, intendo) di don Franco Monterubbianesi.

Oggi avrei voglia di rinfacciare a quei miei detrattori le banalità che mi scaricarono addosso allora. Ma non è il caso, nel momento in cui in Italia parte (per dove?) un Governo arlecchino che si definisce (udite, udite!) la “Terza Repubblica”!