“Ciò che fate a un povero, lo fate a Gesù”

Madre Teresa di Calcutta: una figura sempre attuale. Mons. Ronchi l'ha conosciuta di persona

Tra i riti di beatificazione o canonizzazione presieduti da Giovanni Paolo II, ai quali ho partecipato anch’io, ho avuto la percezione che quelle che lo hanno commosso di più siano state le canonizzazioni di Pio da Pietrelcina e di Massimiliano Kolbe e la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, della quale, recentemente, sono stati dati alle stampe alcuni dei suoi scritti più intimi, raccolti in Madre Teresa: una vita straordinaria di Kathryn Spink (Piemme) e Madre Teresa: sii la mia luce di Brian Kolodiejchuk (Rizzoli). Madre Teresa aveva espresso il desiderio di non essere portata a morire in una clinica privata, come di solito fanno i ricchi. Voleva morire a Calcutta, e non diversamente da come muoiono i più poveri dei poveri. È facile innamorarsi di Madre Teresa, anche solo leggendo alcune pagine circa la sua esistenza e il suo servizio per i poveri. Forse non tutti sanno che le suore Missionarie della Carità – tale è il nome dato da Madre Teresa alla congregazione – ai voti di obbedienza, povertà e castità, comuni a tutti i religiosi, aggiungono il voto di ‘servire i più poveri dei poveri’. Per avere una pallida idea del valore e delle difficoltà di praticare questo quarto voto, bisognerebbe soggiornare anche solo per un giorno negli slums o periferie di Calcutta! Nei miei dodici anni di vita missionaria in India, i miei incontri con Madre Teresa sono stati molti. Come vicario generale e vicario capitolare dell’immensa diocesi di Lucknow, con una popolazione di 25 milioni di abitanti, ho avuto il privilegio di essere vicino a lei nell’apertura e conduzione di un ‘centro residenziale’ per poliomelitici e di un ‘villaggio’ per lebbrosi. La forza nell’affrontare e superare difficoltà di ogni genere le proveniva dalla ininterrotta preghiera, che iniziava comunitariamente con le sue suore ogni mattina alle quattro, inginocchiate ‘all’indiana’ per terra (non hanno mai usato panche o sedie). Poi si recavano ogni giorno negli slums o bassifondi della città per visitare, confortare e condividere le sofferenze con i più derelitti e reietti dalla società indiana. Non a molti è noto che, per l’affetto e l’ammirazione che nutriva per Madre Teresa, Giovanni Paolo II volle che in Vaticano ella aprisse una casa di accoglienza per i tantissimi poveri che esistono anche a Roma, per offrire loro un pasto, una doccia, trascorrere qualche ora in serenità, ecc. Questa casa è all’angolo tra largo Porta Cavalleggeri e via del Sant’Uffizio, dove c’è un portoncino che si fa fatica a distinguere dai portoni adiacenti. Ha una targa di marmo dal nome curioso: ‘Casa dono di Maria’. All’inizio alcuni si dimostrarono molto meravigliati, se non addirittura scandalizzati, per l’invasione nella Città del Vaticano di poveracci, ubriaconi e perfino donne di strada. Madre Teresa, con semplicità angelica, smontò i diversi pregiudizi, perfino di cardinali, con questo semplice ragionamento: ‘Se in una notte gelida e piovosa Gesù bussasse alla porta dell’appartamento del Papa con timore e tremore e dall’altra parte si sentisse dire: Chi è?, e la risposta fosse: Sono Gesù!, il Papa, pieno di confusione, di incredulità, ma anche di gioia, esclamerebbe: Gesù, io sono solo il tuo vicario, questa è tutta casa tua! Non solo, ma farebbe suonare dalla gioia le campane di San Pietro, accenderebbe tutte le luci del Vaticano, gridando a tutti: Gesù ci ha fatto visita!’. Madre Teresa, dicendo questo, voleva puntualizzare che ‘tutto ciò che è fatto ad ogni povero, sia materiale che spirituale, è fatto a Cristo stesso e quindi era più che logico che anche in Vaticano vi fosse un luogo di accoglienza’. Madre Teresa esortava spesso le sue suore dicendo: ‘Noi saziamo la sete di Gesù adorandolo nel sacramento dell’eucaristia, nell’incontro personale con Lui, faccia a faccia. Rinnovate il vostro zelo per saziare la sua sete sotto le specie del pane e nelle sembianze dolorose dei più poveri dei poveri. Non dividete mai queste parole di Gesù: Ho sete, e: Voi l’avete fatto a me’. E ripeteva spesso: ‘Non sono del parere che bisogna fare grandi cose. A noi ciò che importa è la persona. Per amare una persona dobbiamo entrare in contatto con lei. Se no, corriamo il rischio che la persona diventi per noi un numero, e ci perderemmo nei numeri, e non saremmo in grado di dimostrare che cosa significa amare e rispettare la persona. Io penso ad ogni persona singolarmente. Ogni persona per me è Cristo, e Cristo è uno solo, c’è una sola persona nel mondo per me in quel momento’.Una volta le portarono a casa sua, a Calcutta, una donna in condizioni molto ripugnanti: un corpo disfatto a causa della lebbra. La donna rifiutava ogni espressione di affetto, ma Madre Teresa la curava con grande tenerezza. Alla fine la donna esclamò: ‘Sorella, tu sei diversa da tutte le altre persone che ho incontrato: perché fai questo?’. E la Madre rispose: ‘Lo faccio per amore’. La donna restò sorpresa da questa logica che non conosceva, e chiese: ‘Chi te lo ha insegnato?’. Allora Madre Teresa rivelò il segreto della sua vita e disse: ‘Me lo ha insegnato il mio Dio’. E la donna, piangendo, soggiunse: ‘Fa conoscere anche a me il tuo Dio!’. È la provocazione già insegnata da Gesù agli apostoli: ‘Dalle vostre opere riconosceranno che siete miei discepoli’.Madre Teresa nei suoi discorsi, sempre brevi, era di una schiettezza e di un coraggio incredibili. Come quando disse ai rappresentanti dell’Onu: ‘Fino a quando si permetterà o si incentiverà la pratica dell’aborto come un diritto della donna, allora non meravigliamoci più di nessuna guerra’!

AUTORE: ' Pellegrino Tomaso Ronchi