Civiltà silenziosa

L’abatjour

Due ricoveri ospedalieri in tre mesi sono troppi? No, non sono né pochi né troppi, sono il giusto.E se tu li prendi per il verso giusto, possono essere due belle esperienze. Come lo sono state per me, una agli inizi di giugno, l’altra dagli inizi di settembre fino all’altroieri. Noi bipedi razionali abbiamo avuto in dotazione un organismo sano, un motore brillante e dei collegamenti perfetti. Poi alcuni di noi abbiamo cominciato a mangiare alla sprocedata, sugo strapieno di incantamenti, spezie ovunque, salsicce in fila per due, panna cotta per festeggiare anche il minimo evento familiare gioioso; il tutto “compensato”(?!) dal digiuno assoluto del Venerdì santo, il quale peraltro ha l’abitudine di venire una sola volta all’anno. Con Aquino Doretto, l’invalido di S. Girolamo che a Gubbio tutti ricordano per i 180 kg della sua mole, avevamo pattuito: “Moriremo forse giovani, ma sicuramente satolli”. Lui è morto satollo 15 anni fa, a 53 anni, e in molti lo rimpiangiamo, ma… tiobòno, con la pressione minima a 180! Del mio primo ricovero, quello in cardiologia, quello di fine maggio, e del suo carattere positivo il commendevole lettore sa già. Di questo secondo, in neurologia, dirò tosto. Anche in questo secondo ricovero… tutto bene: pulizia immediata alle chiamate, cibo gradevole. Il lato meno positivo? Il tono piuttosto alto della voce delle infermiere, di sera, nel momento in cui l’ospedale intero sprofondava nel sonno. Ma durante il giorno, il ciangottare di queste bellissime ragazzine è un sottofondo piacevole: come abitare poco lontano dalla cascata delle Marmore. Il factum mirabile però è stato un altro. Venerdì 9 m’hanno tolto il tampone che da 24 ore, in funzione antiemorragica, premeva sul mio inguine destro, sforacchiato per volere del dio della ricerca medica (Mercurio?); da 24 ore ero nudo dentro il letto, nudo come mamma mi fece. Dicevo: a me stesso: “E adesso che succede? Toccherà a una di queste pischelle liberarmi dal tampone e liberare al vento i miei bargigli, infilarci su lo slip, e sullo slip il pigiama?? E io? Mi volterò dall’altra parte, fischiettando? Mi schiaccerò il cuscino sul muso, rosso di vergogna?”. Niente. È arrivata la pischella, mi ha coperto al centro degli inguini con un panno verde (anche se io, in questo solenne 150° dell’Unità, l’avrei preferito tricolore, come quello di Vettel a Monza); poi mi ha appena infilato prima sulla punta dei piedi 10 cm di slip, e poi sullo slip 10 cm di pigiama, lasciando al suo posto il panno verde del pudore, e ha detto, in un soffio: “Il resto può farlo da lei!”. Signori, non so come si chiami la pischella, ma so che questa è civiltà. E di prima scelta. Chapeau!

AUTORE: a cura di Angelo M. Fanucci