Referendum. Io, cattolico, perché dico No

Le ragioni del No al referendum del 4 dicembre

referendum_NO_CDNFC’è un grande disegno che unisce la legge sulle unioni civili e la riforma costituzionale. È un progetto che ha avuto delle scadenze ben precise. Del resto, alla prima “Leopolda”, Renzi era stato molto onesto: togliere di mezzo tutti i “corpi intermedi”, il primo dei quali a essere demolito è stata la famiglia. Lo ha fatto prima con il divorzio breve; poi, con le unioni civili, si è andati ad accostare al modello di famiglia naturale – riconosciuto dall’art. 29 della Costituzione – altri tre modelli di famiglia. Anche la totale precarizzazione del mondo del lavoro con il Jobs Act è un altro elemento di crisi e destabilizzazione per la famiglia.

Il governo Monti aveva messo la tassa sulla prima casa, oggi abolita, in compenso è raddoppiata la tassa sui rifiuti: è quindi la casa a essere colpita, nel suo totale deprezzamento dovuto alla crisi. Siamo un popolo di proprietari e, con la casa, si è voluto colpire un fattore di ricchezza che per decenni è stato trasmesso da una generazione all’altra. Dopo aver colpito la famiglia, questo Governo ha preso di mira tutti gli altri corpi intermedi, a partire dalle Province, che altro non sono se non un insieme di “famiglie di famiglie” che vivono su quel territorio. Anche le Regioni vengono completamente decostruite e depotenziate. Tutto questo per allontanare il potere dai cittadini. Impossibile non leggere, in un disegno così chiaro e nitido, la volontà di spostare l’asse del potere dalle famiglie italiane alle lobby internazionali. Oltre a decostruire i corpi intermedi e a depotenziare la partecipazione democratica, questa riforma ha un altro obiettivo: concentrare il potere nelle mani di un uomo solo, il Presidente del Consiglio.

Questa concentrazione di potere sarà ancora più evidente con la riforma elettorale. Se da un lato, siamo tutti d’accordo che il potere esecutivo debba avere una sua intrinseca stabilità e autorevolezza; dall’altro, è interessante notare come la riforma non faccia l’unica cosa che avrebbe dovuto fare: rendere il premier eleggibile direttamente dal popolo. Con l’elezione diretta del premier, il potere esecutivo avrebbe avuto quella legittimazione popolare e quella stabilità che tanto si invoca. Ciò non viene fatto per un preciso motivo: non si intende imprimere decentramento, democrazia e sussidiarietà, ma, al contrario, togliere democraticità, partecipazione popolare e impegno diretto dei cittadini nel controllo delle istituzioni. Tant’è vero che, se prima della riforma andavamo a votare per cinque corpi elettivi (Camera, Senato, Regioni, Province e Comuni), dopo la riforma voteremmo solo per la Camera, per le Regioni e per i Comuni.

Con la Regione che, però, sarà di fatto commissariata dallo Stato; mentre il Comune, non avendo più autonomia impositiva, dovrà attendere che lo Stato gli conferisca le risorse. La Camera sarà a sua volta commissariata dal partito di maggioranza relativa che scaturirà dalla legge elettorale. Quindi, di fatto, gli spazi della democrazia si riducono a zero. Personalmente sono contrario alla riduzione del numero dei parlamentari. Deputati e senatori devono rappresentare i territori: più ce ne sono, più la gente ha vicinanza e contiguità con il potere. Ciò che invece la riforma avrebbe potuto fare – e non con legge costituzionale ma con una semplice modifica della legge ordinaria – era dimezzare o ridurre di un terzo o di un quarto gli stipendi dei parlamentari.

Quello che si poteva salvare di questa riforma è forse l’abrogazione del Cnel, pur trattandosi di un organo in attivo ma mai pienamente utilizzato nelle sue prerogative. Stiamo però parlando di briciole: l’intero impianto della riforma è da respingere. Noi pensiamo che la politica debba essere a servizio della gente e delle famiglie, perché non si ripetano aberrazioni come l’approvazione della legge sulle unioni civili, che non era minimamente voluta dal Paese e nemmeno dal Parlamento ma è stata imposta da un Governo che ha minacciato deputati e senatori con il voto di fiducia imposto nottetempo, soprattutto al Senato. Il principio di ogni dittatura è un élite che si auto-nomina dicendo di agire nell’interesse e in nome del popolo. È una deriva che rischia di portare alla totale atomizzazione della società. Questo di decostruire la famiglia e lasciare le persone sole è un obiettivo intensamente perseguito dalla finanza, che pretende di attingere alle risorse delle persone senza dare nulla in cambio.

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Ecco gli interventi per il Sì e per il No pubblicati su La Voce questa settimana

Le posizioni nel mondo cattolico

“Io, cattolico, perché dico Sì”, di Giancarlo Pellegrini

“Io, cattolico, perché dico No”, di Simone Pillon

Scarica qui la pagina de La Voce con le posizioni del Sì e del No sui principali punti della Legge Costituzionale sottoposta a Referendum il 4 dicembre

(clicca sull’immagine)

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AUTORE: Simone Pillon avvocato, co-fondatore del comitato “Difendiamo i nostri figli”