Come muore un Papa in Tv

Anche io, come tutti e 17 i miei avventurati lettori, ho passato molte ore alla Tv in occasione della morte del Servo dei Servi di Dio Giovanni Paolo. E come loro ho provato dolore e rimpianto, ammirazione e speranza, gratitudine a Dio per avercelo mandato e affetto grande per quel mondo che per primo lui ha amato visceralmente. Ma non so se i miei lettori abbiano provato come me, ogni tanto, anche un senso di vago fastidio di fronte al petulante gracidare del piccolo schermo, al suo ininterrotto cicalare e ciacolare, anche quando sarebbe stato necessario tacere. Più che informati, al solito, siamo stati alluvionati di notizie. Mi domandavo: ma la Rai, in occasioni del genere, non può affidare il microfono ad un giornalista che sappia vagamente cos’è la Chiesa? Ce l’ha Canale 5, giornalisti di questo tipo, e sono del calibro di Marina Corradi e di Renato Farina, due pezzi da novanta che però (a mio parere) che cosa sia la Chiesa lo sanno ‘troppo’ bene. La categoria della ‘presenza’ che essi, grazie al tipo di esperienza ecclesiale forte che hanno fatto in Comunione e liberazione, adoperano per ‘leggere’ la Chiesa nel mondo non ha mai riscosso grande simpatia in chi, come me, sente molto più vera la categoria della ‘mediazione’, quella alla quale l’Azione cattolica è rimasta fedele anche nei lunghi anni della vacche magre. Ma pensate a Bruno Vespa, che Dio lo perdoni se può! Ha tenuto la stessa linea che è emersa nel volume che ha pubblicato per Natale, ‘Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi’, 800 pagine di cosucce che con la storia non hanno nulla a che vedere. Lì per lì volevo querelare chi me l’ha regalato, quel polpettone, poi però ho pensato a quel certo, vetusto ‘mettitutto’ che c’è in cantina e che pende di brutto da una parte, da molti anni. La Provvidenza a volte pensa anche alle minuzie, tipo un ‘mettitutto’ che da una vita aspetta di essere zoccato ben bene, com’è suo diritto. Per parlare del Papa nella maniera giusta occorreva recuperare la Chiesa nel suo servizio al mondo e insieme nella sua intima urgenza di crescere come comunità che annuncia, celebra e testimonia. E solo poi domandarsi se durante tra il 1978 e il 2005 la nostra Chiesa è cresciuta, in ambedue i sensi. E invece ci si è limitati alla prima dimensione, quella del servizio al mondo, dimenticando (fra l’altro) che le due dimensioni sono in rapporto dialettico, di reciproca illuminazione.

AUTORE: Angelo M. Fanucci