Io sono con voi tutti i giorni

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia Santissima Trinità - anno B

La liturgia della Chiesa, in questa prima domenica dopo Pentecoste, celebra la festa della Santissima Trinità. E non è casuale mettere in relazione l’inizio della Chiesa, che muove i suoi primi passi proprio nel giorno della Pentecoste, con il mistero della Trinità. I discepoli, dopo aver ricevuto lo Spirito santo, escono dalle mura ristrette e chiuse della casa, ove si trovavano “per paura”, e iniziano a comunicare il Vangelo e a battezzare.

Essi obbedivano a quanto Gesù aveva loro ordinato prima di lasciarli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28, 19). Nella festa della Trinità, che la Chiesa ci fa celebrare, Dio squarcia il velo che copre il suo mistero, rompe il silenzio sulla sua vita (la parola greca “mysterion“significa appunto “tacere”), e ci fa cogliere la verità sul mondo fatto, appunto, a sua immagine e somiglianza. Le Scritture sottolineano in ogni pagina l’inconoscibilità del mistero di Dio. Egli abita in una luce invalicabile che “l’uomo non può vedere continuando a restare in vita”, e l’apostolo Giovanni afferma che “Dio nessuno l’ha mai visto” (1 Gv 4, 2).

Dio stesso però rompe il silenzio – e solo Lui poteva farlo, solo Lui poteva prendere l’iniziativa – per rivelarsi agli uomini manifestandosi all’interno della storia “con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso”, come dice la lettura odierna tratta dal primo dei tre discorsi solenni posti in bocca a Mosé nel Deuteronomio. E non basta. Dio, dopo aver “parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1-2), aggiungerà l’autore della Lettera agli Ebrei.

E nel giorno di Pentecoste, dal cielo il Signore Iddio ha riversato sui discepoli lo Spirito santo perché fosse lui – come aveva detto lo stesso Gesù – a guidarli verso la verità tutta intera. Ebbene, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, che oggi contempliamo nella Trinità, sono la radice, la fonte, il sostegno della Chiesa nata nel giorno di Pentecoste, segno dell’unità di tutto il genere umano. La Chiesa non nasce dal ‘basso’, non è il risultato della convergenza degli interessi delle persone che la compongono, non è il frutto dell’impegno o dello slancio di cuori generosi, non è la somma di tanti individui che decidono di stare assieme, non è l’associazione di persone di buona volontà per realizzare uno scopo nobile.

La Chiesa viene dall’alto, dal cielo, da Dio. E, ancor più precisamente, da un Dio che è “comunione” di tre persone. Esse – proviamo a balbettare qualche parola – si vogliono a tal punto bene l’una con l’altra da essere una cosa sola. Da tale comunione d’amore nasce la Chiesa e verso tale comunione essa cammina, trascinandosi l’intera creazione. La Trinità è origine e termine della Chiesa, origine e termine della creazione. Per questo la Chiesa è anzitutto e soprattutto mistero, mistero da contemplare, da accogliere, da rispettare, da custodire, da amare. Solo in questa realtà la Chiesa è comunità, organizzazione, corpo strutturato… Pertanto chi ascolta il vangelo con il cuore non è solo accolto in una comunità organizzata, è accolto soprattutto nel mistero trinitario, nella comunione con Dio. Noi viviamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito santo. La bella consuetudine del segno della croce, che siamo invitati a fare all’inizio e alla fine di ogni azione, ci ricorda appunto questo mistero nel quale siamo inseriti.

È senza dubbio un grande mistero, un grande dono. Ma è anche un compito arduo e affascinante. La Chiesa che nasce a Pentecoste perciò non è neutra; essa ha nella sua stessa costituzione una vocazione: è il servizio dell’unità e della comunione. Mentre il mondo in cui viviamo sembra stregato dagli egoismi di singoli, di gruppi, di categorie, di nazioni che non sanno (spesso non vogliono) alzare lo sguardo oltre il proprio particolare, oltre i propri interessi cosiddetti nazionali, la Chiesa della Pentecoste, nata dalla Trinità, ha il compito di ricreare la carne lacerata del mondo, di ritessere la comunione tra i popoli. Lo Spirito effuso nella comunità dei credenti dona una nuova energia, come si scrive nella Lettera ai Romani.

“Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli” (Rm 8, 15); e Gesù, prima di inviare gli apostoli, dice loro: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). La forza che il Signore dona ai suoi figli cura la carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla cupidigia, dalla sopraffazione, dalla guerra, dalla violenza, dall’odio, e sa donare l’energia per alzarsi e incamminarsi verso la comunione. Era il disegno di Dio sin dall’inizio della creazione. C’è infatti una corrispondenza tra il processo creativo e la vita interna di Dio stesso.

Non a caso Dio disse: “Non è ben che l’uomo sia solo”. L’uomo inizialmente significava sia uomo che donna – non era stato creato ad immagine di un Dio solitario, ma di un Dio amore. Ogni singola persona e l’umanità stessa non saranno se stesse al di fuori della comunione. Solo all’interno della comunione potranno salvarsi. A ragione, perciò, il Vaticano II ricorda a tutti i credenti che Dio non ha voluto salvare gli uomini singolarmente, ma radunandoli in un popolo santo. La Chiesa nata dalla comunione e ad essa destinata, si trova perciò ad essere impegnata nel vivo della storia di questo inizio di millennio come lievito di comunione e di amore. È un compito alto ed urgente che rende davvero meschine (e colpevoli) le liti e le incomprensioni interne. Sono le liti all’interno delle nostre comunità, sono le divisioni all’interno delle Chiese cristiane, sono le divisioni che lacerano la comunione tra i popoli.

Chi resiste all’energia di comunione, diviene complice con l’opera del “principe del male” che è spirito di divisione. Per questo l’apostolo Paolo, per farci sentire l’urgenza della comunione, può ripetere ancora oggi: “che il sole non tramonti sulla vostra ira” (Ef 4, 26). La festa della Trinità è un invito pressante ad inserirci nel dinamismo stesso di Dio, ad avere le sue stesse ambizioni, a vivere la sua stessa vita, a gioire dell’amore che più non tramonta. Il Signore, che vuole la salvezza di tutti, la realizza raccogliendo gli uomini e le donne attorno a sé in una grande e sconfinata famiglia. La salvezza si chiama, appunto, comunione con Dio e tra gli uomini. È forse un sogno ingenuo. Certamente è bello. È il sogno di Dio sul mondo.

AUTORE: Vincenzo Paglia