Di che cosa è colpevole un neonato?

Dopo la preghiera dei fedeli, ancora non si arriva al momento centrale del battesimo: ci sono ancora preghiere che vengono recitate sul bambino. Perché “esorcizzare” e ungere i neonati, se chiaramente non hanno commesso peccati personali?

Nella logica del rituale del battesimo, la liturgia della Parola non si conclude con la preghiera dei fedeli, ma è seguita dall’invocazione dei santi; come una sorta di continuo, le litanie prolungano la preghiera dei fedeli chiedendo la loro intercessione.

Non solo: come bene esprimono i testi dei prefazi dei santi, essi non sono semplicemente intercessori, ma anche modelli di vita, con i quali fin dal battesimo entriamo in comunione fraterna, sapendo che ci hanno tracciato il sentiero da seguire per giungere alla patria del cielo. Segue poi un antichissimo rito non trascurabile: l’orazione di esorcismo e l’unzione prebattesimale con l’olio dei catecumeni.

San Paolo in alcune sue lettere assimila il cristiano all’atleta e al guerriero, che corre e combatte per il Vangelo. In continuità con questa metafora, potremmo accostare – come si fa spesso – l’olio dei catecumeni all’olio utilizzato, nei giochi di epoca imperiale, per sfuggire alle prese dello sfidante.

Effettivamente questa lettura del rito d’unzione è in assonanza con le formule che precedono il gesto, nelle quali, in virtù della sconfitta di Satana operata da Cristo Gesù, si chiede a Dio di liberare il battezzando dal peccato originale e dal potere delle tenebre, nonché di fortificarlo nella lotta tra le seduzioni del mondo nel tempo che verrà.

Un’altra simbologia interessante di questo gesto liturgico la troviamo nelle Catechesi mistagogiche di san Cirillo di Gerusalemme: “Poi, svestiti, siete stati unti con l’olio esorcizzato, dalla cima dei capelli fino all’estremità del corpo, divenendo partecipi del buon ulivo che è Gesù Cristo. Recisi dall’oleastro, siete stati innestati nell’ulivo buono, e siete divenuti partecipi dell’abbondanza dell’ulivo. L’olio esorcizzato simboleggia la partecipazione all’abbondanza del Cristo che mette in fuga ogni traccia di potenza avversa” (Catechesi mistagogica II).

Il gesto di ungere, oramai ridotto purtroppo a una piccola unzione sul petto del bambino, richiama la lotta ma anche, come affermava il vescovo di Gerusalemme nel IV secolo, l’essere innestati in Cristo, olivo buono dai frutti abbondanti.

Per vivere questo “innesto” nella vita di Gesù, il neonato deve essere posto in condizione di poterlo fare, e il primo passo è di liberarlo dal peccato originale. L’uomo, tentato dal Maligno, disobbedì a Dio, preferendo se stesso al suo Creatore, rompendo così l’armonia originaria.

Tutti siamo coinvolti in questa maniera nel peccato di Adamo, perciò il battesimo è celebrato per la remissione dei peccati, anche per i bambini che non hanno colpa personale. Infatti, pur essendo la trasmissione del peccato delle origini un mistero non comprensibile a pieno, esso ha comunque intaccato la natura umana, che proprio attraverso il battesimo può nuovamente volgersi a Dio.

Don Francesco Verzini