Dall’entusiasmo al rifiuto

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini IV Domenica del tempo ordinario - anno C

Domenica scorsa abbiamo letto la pagina di Luca che racconta la prima – e anche ultima – predicazione di Gesù nel paese della sua famiglia, Nazareth. Oggi leggiamo il racconto delle reazioni dei compaesani. Reazioni sconcertanti, che vanno dall’iniziale entusiasmo al rifiuto, fino al tentativo di linciaggio. In mezzo troviamo la domanda cruciale: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. La domanda attraversa non solo il Vangelo secondo Luca, ma anche degli altri tre Vangeli: “Chi è costui?”. Essa ha percorso i secoli e inquieta ancora oggi molti nostri contemporanei; e sta anche dinanzi a noi, che cerchiamo umilmente di entrare nel mistero di questo “Sconosciuto”.

Alcuni studiosi dei Vangeli pensano che il passaggio dei nazarethani dall’entusiasmo al rifiuto non sia avvenuto così all’improvviso, ma attraverso una maturazione progressiva, che Luca letterariamente sintetizzò nell’unità di tempo. Memore delle parole che i testimoni colsero sulla bocca di Gesù, l’evangelista scrive – nello stile che gli è proprio – la stessa cosa che l’evangelista Giovanni scriverà nel prologo al proprio Vangelo: “Venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Rifiuti e accoglienze di Gesù, da parte dei suoi, si sono susseguite in una storia che gli evangelisti ampiamente raccontano.

Quando tra la gente di Galilea corse voce che era comparso un giovane guaritore, rapidamente si radunarono folle sempre più numerose, affascinate anche dalla sua parola. Quando si seppe anche che sfamava gratuitamente i suoi ascoltatori, le folle si gonfiarono ulteriormente. Poi però si cominciò a sussurrare che le autorità pubbliche sospettavano di lui; allora le folle via via si assottigliarono; tanto più che lui faceva discorsi “politicamente scorretti”. Fino a che rimasero soltanto in dodici, con l’aggiunta di un gruppetto di donne fedelissime. Alla fine, sotto la croce, oltre alla madre, alla zia, a Maria di Magdala, c’era rimasto solo Giovanni, quello che poi diverrà l’evangelista. Dinanzi al rifiuto dei compaesani, Gesù non sembrò offendersi, ma ne prese spunto per stimmatizzare la loro incredulità e annunciare che quella salvezza che loro non accoglievano sarebbe stata accolta dai pagani. Era accaduto già ripetutamente ai tempi degli antichi profeti.

Elia, che visse nel secolo VIII a.C., in un tempo di corruzione morale, per ordine del Signore chiamò sul paese una spaventosa siccità, che si protrasse per tre anni e mezzo. In un primo tempo Elia sopravvisse bevendo l’acqua di un torrente. Alla lunga anche il torrente si seccò. Allora fu ispirato ad andare verso una città pagana, nel Libano attuale, dove incontrò una vedova, a cui chiese acqua da bere e anche una focaccia da mangiare; alle obiezioni della donna poverella, promise che il poco olio rimastole nella giara non sarebbe diminuito fino a che non fosse cessata la siccità. La libanese poverella si fidò. E sperimentò che il Dio di Israele aveva salvato la vita sua e quella di suo figlio (1 Re 17). Eliseo fu profeta in Israele dopo la scomparsa del suo maestro, Elia.

A lui fu mandato un generale dell’esercito siriano, pagano anche lui, e lebbroso. Dopo qualche tentennamento, questi si bagnò per sette volte nelle acque del fiume Giordano, come gli aveva ordinato il profeta, e guarì. Tornò da Eliseo e confessò: “Ora so che non c’è altro Dio sulla terra, se non in Israele” (2 Re 5). A sentire così, i compaesani s’infuriarono. Non era ammissibile che un figlio di falegname, che ufficialmente non era nessuno, si permettesse di sparlare così del popolo prediletto da Dio. Ci fu una sollevazione generale e mancò poco che lo facessero fuori. L’evangelista conclude il racconto mostrandoci Gesù che, indenne, aveva già ripreso il cammino dell’annuncio evangelico.

La liturgia di domenica scorsa sottolineava il mistero della Parola, compiutasi in Gesù “nella pienezza dei tempi”; oggi essa riflette su un altro mistero, quello del rifiuto: perché alcuni accolgono la Parola e altri no? Nella prima lettura il profeta Geremia racconta la propria vocazione (Ger 1,4-19). Egli sa che la sua chiamata risale a prima della nascita. Ora – forse era ventenne – il Signore gliene chiarisce la portata: dovrà andare ad annunciare una parola sgradita al popolo e ai potenti della terra.

Geremia ebbe paura, disse di essere troppo giovane per un simile incarico; e tentò di rifiutare. Ma il Signore fu categorico: egli dovrà andare, carico della forza di Dio. “Io sono con te per proteggerti” (Ger 1,8). La compagnia di Dio però non gli risparmiò il rifiuto degli uomini. Scriverà di sé: “Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno” (Ger 20,8). Finirà la sua vita trascinato in esilio dai suoi nemici. Anche a questa figura, ben conosciuta dal popolo, Gesù si riferiva quando disse: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Quelli tra noi che accettano di vivere in obbedienza Dio, non possono non mettere in conto l’esperienza del rifiuto.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi