Dar da mangiare agli affamati

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XVIII Domenica del tempo ordinario - anno A

Matteo lega il miracolo della moltiplicazione dei pani dei pesci alla morte di Giovanni Battista. Gesù è stato appena informato – dai discepoli del precursore e amico – del delitto compiuto da Erode Antipa su istigazione della moglie Erodiade. Si ritira allora, in segno di lutto, in un luogo solitario per pregare e pensare all’amico. Sono con lui i suoi discepoli. Il grande dispiacere per la perdita di quella persona cara, Gesù lo lenisce col silenzio, la solitudine, la preghiera. Il suo ritiro è violato però dalla folla che ha bisogno di lui. Egli comprende che a ricordare l’amico, più del pianto, valgono le opere di bene. Matteo sembra dire dunque che Gesù compie i miracoli di guarigione e moltiplicazione del pane per onorare il grande profeta martire appena scomparso.

La carità è sempre il migliore suffragio. I miracoli sgorgano dal grande amore di compassione che Gesù ha verso la gente bisognosa, che gli si accalca intorno, variante di quella profonda amicizia che lo legava a Giovanni Battista. Soprattutto, il gesto del pane donato agli affamati fino alla sazietà diviene, per l’evangelista, un segno della carità di quel Dio che aveva donato, per quaranta anni, la manna dal cielo al suo popolo in cammino nel deserto, dopo avergli donato la sua parola come nutrimento spirituale. Parola e pane sono qui i doni di Gesù: la parola che cura e istruisce, il pane che nutre per la vita. Gesù era un uomo concreto, non un sognatore. Ha salvato l’uomo tutto intero, non solo la sua anima. Così lo aveva creato Dio, così egli lo redime. I miracoli sono il suo impegno per la salute del corpo, le sue parole sono lo strumento per la salvezza dell’anima. La grande folla che si accalca attorno a Gesù per ascoltare la sua parola e ottenere la guarigione dei malati che trascina con sé, merita comprensione, simpatia e compassione.

Il cuore del Figlio di Dio non può rimanere sordo alla muta invocazione di aiuto che sale da quella sua gente. Nessuno chiede esplicitamente nulla, ma parlano quegli occhi e quelle orecchie protesi; grida soprattutto quella fame e sete di Dio che ognuno si porta dentro. Questo grido inespresso muove Gesù, che lo sa interpretare, e lo muove all’azione. Quelle persone hanno ascoltato attente e pazienti il suo insegnamento fino a sera, quasi senza accorgersi che il tempo trascorreva inesorabile. È l’ora della cena, il principale pasto della giornata; il luogo dove sono è disabitato, e gli apostoli sollecitano Gesù a licenziare la gente perché vada nei paesi vicini a comprarsi il pane prima che si faccia buio. La risposta di Gesù li coglie di sorpresa: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”.

È una proposta impossibile, che va oltre le loro risorse, sia perché è impossibile trovare tanto cibo in quel luogo deserto, sia perché costerebbe un patrimonio, che non hanno. Ma Gesù chiede ai discepoli di cambiare prospettiva: sostituire il “comprare” con il “donare”; un capovolgimento dell’economia umana fondata sul potere di acquisto del denaro. Questo tipo di economia commerciale mostra ancora oggi la sua impotenza a risolvere i problemi della povertà del mondo. I poveri non hanno nulla da dare in contraccambio, perciò sono lasciati nella fame e nel sottosviluppo. Difficile trovare chi fornisca aiuti a fondo perduto, per mettere in movimento iniziative e sviluppo nei Paesi che non hanno risorse in tal senso. La scusa che impedisce spesso la carità è la convinzione che è troppo poco ciò che si può dare per cambiare una situazione di fame, è una goccia in un deserto, sparisce nel nulla in un pozzo senza fondo. Di questa mentalità risente la risposta dei discepoli: “Non abbiamo altro che cinque pani e due pesci”. Pochissima cosa per una folla così grande, un aiuto perfettamente inutile.

Era la merenda di un bambino, dice Giovanni (Gv 6,9), figuratevi se poteva servire da cena a migliaia di persone! Gesù, per fare il miracolo, ha chiesto la minima collaborazione umana, anche se sproporzionata. Solo dopo quel piccolissimo gesto di generosità, il poco diventa molto, l’indigenza diventa abbondanza, la fame si trasforma in sazietà. Dio non fa tutto da solo, sollecita la nostra generosità, si serve della nostra povertà per operare miracoli nel mondo. Del resto sono sempre i poveri ad aiutare i poveri, perché sanno bene ciò che significa povertà e fame. Quel piccolo atto di carità di un bambino fa scattare la scintilla del miracolo nelle mani di Gesù. Egli ordina alla folla di sedersi comodamente sull’erba; ci tiene alla dignità di un banchetto che faccia sentire le persone come ospiti graditi, con un minimo di accoglienza umana. Nessuno si deve sentire trattato da straccione in fila per un pane.

Solo ora può cominciare la distribuzione del cibo: Gesù prende i pani e pesci, alza gli occhi al cielo, recita la preghiera di ringraziamento a Dio Padre, “che dà il cibo ad ogni vivente”, spezza il pane e il pesce e fa servire a tutti la cena dai suoi discepoli. Il cibo si moltiplica nelle mani del Signore e passa nelle mani dei discepoli addetti al servizio delle mense. Così arriva, benedetto e abbondante, nelle mani dei commensali, serviti e riveriti con grande delicatezza. Gesù sa fare le cose per bene: il suo dono non umilia, ma esalta l’uomo che lo riceve con signoria. Il banchetto sull’erba del prato ai bordi del lago di Genezaret è l’anticipo simbolico del banchetto pasquale dell’eucaristia celebrato qualche mese dopo a Gerusalemme. Il suo significato eucaristico è evidenziato dall’evangelista Giovanni (Gv 6,16-58).

I gesti compiuti da Gesù sono quelli dell’ultima cena: “prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede”. Ormai nella Chiesa apostolica quel gesto è ripetuto dai discepoli di Cristo nelle celebrazioni delle chiese locali. Ma rimane per i fedeli l’invito alla solidarietà verso i poveri, come segno di autenticità. Perciò fin dai tempi apostolici non ci fu mai eucaristia senza la raccolta delle offerte per i poveri. Questo sta a significare che la carità nella Chiesa non è un optional, ma un dovere che sgorga dal dono che Gesù fa di se stesso nel sacramento e dall’invito rivolto agli apostoli: “Voi stessi date da mangiare ai poveri”, io farò il resto che manca. Nessuno si può tirare indietro.

AUTORE: Oscar Battaglia