Dava fastidio perché mediava

Aldo Moro era un personaggio scomodo. Troppo scomodo. E non perché avesse idee estremiste ma, proprio al contrario, perché cercava mediazioni le più ampie possibili. Se n’è parlato il 15 giugno a palazzo Cesaroni di Perugia, a un incontro organizzato dal Meic e dall’Accademia delle scienze dell’Umbria (Adsu) in occasione del 40° anniversario della tragica scomparsa dello statista. L’ottica tuttavia non è stata prevalentemente quella del suo rapimento e assassinio, quanto quella della sua figura complessiva di uomo, di credente e di politico. “Moro – ha esordito il primo relatore, Giancarlo Pellegrini, già professore di Storia contemporanea all’Università di Perugia – è importante per ciò che ha fatto e detto, oltre che per il suo martirio”. Anche se spesso viene dimenticato, il punto di partenza della sua carriera non fu la politica ma la riflessione intellettuale e l’animazione cristiana della cultura. I primi campi di attività di Moro furono infatti la Giac di Azione cattolica, poi a Bari l’insegnamento universitario e la presidenza della Fuci locale, che nel 1939 divenne presidenza nazionale.
Proprio questo ruolo lo avrebbe lanciato “d’ufficio” nell’impegno politico diretto.
Nel 1959 Moro sarebbe quindi diventato segretario della Dc, e presidente del Consiglio dal 1963 al 1968.

“La verità delle cose, la dignità della persona” sarebbe rimasto il suo ideale costante, come emerge bene dallalettura degli articoli pubblicati su Studium, “rivista da lui diretta e che sapeva destare l’interesse anche del mondo non cattolico. Negli anni della Fuci – ha aggiunto Pellegrini – Moro aveva letto Maritain insieme all’allora assistente ecclesiastico della Federazione universitaria, mons. Giovanni Battista Montini”. E in seguito, dopo la caduta del fascismo, lavorando attivamente alla nascita della Repubblica e alla stesura della Costituzione, chiedeva “una democrazia politica, ma anche sociale, aperta alle esigenze della giustizia. Una democrazia integrale. Ripeteva che i cattolici avevano un dovere di presenza attiva” in quella nuova società che stava nascendo (continua a leggere gratuitamente sull’edizione digitale de La Voce).

AUTORE: Dario Rivarossa