Di nuovo lui, il 16 maggio

Don Angelo Fanucci
Don Angelo Fanucci

Riammettere sant’Ubaldo nel calendario liturgico della Chiesa universale, il 16 maggio, ha un senso. Innanzitutto perché, in un contesto in cui il Vescovo era come la Rai, “di tutto, di più”, lui fu solo vescovo e nient’altro che vescovo, secondo il Vangelo e nient’altro che il Vangelo.

Questo gli costò molta avversità da parte degli eugubini: prima si opposero tenacemente alla sua elezione alla guida della diocesi “da parte del clero e del popolo”; poi, una volta che il suo ex confratello Lamberto Fagnani, canonico regolare come lui, poi papa Onorio II, l’ebbe scelto di persona, imponendolo agli eugubini senza chiedere il loro parere, nella prima metà del suo servizio episcopale gli resero durissima la vita. E lui non batté ciglio.

Alzò la voce solo quando, al termine di quel durissimo periodo, difese da una pesante condanna un capomastro che, sulla scia di come i suoi concittadini trattavano da molti anni il loro vescovo, l’aveva scaraventato in una fogna a cielo aperto.

Totale estraneità al potere, dunque. In un tempo in cui anche i vescovi più esemplari ogni tanto maneggiavano il miele e, magari solo per un istante, si leccavano le dita. In secondo luogo perché, se chiedessimo al più ferrato degli storici tedeschi quante volte Federico Barbarossa si comportò come fece con sant’Ubaldo, ne avremmo una risposta secca: Nie! Mai! Perché l’incontro in realtà fu uno scontro. Uno scontro fra un Tir e un’utilitaria. Il Tir era Ubaldo, l’utilitaria era Federico, che dallo scontro uscì malconcio.

Anno 1156, l’esercito di Federico è accampato a pochi chilometri da Gubbio. In programma c’è il bis del trattamento riservato mesi prima a Spoleto: distruzione totale. Ubaldo si reca da lui, che da tanto tempo prova vivo desiderio di vederlo, accolto con il cerimoniale di prima classe.

Federico va oltre: lo fa sedere accanto a sé, abbassa la testa e gli chiede di benedirlo. Lui, lupo dagli occhi chiari, lui che ritiene suo diritto-dovere non abbassare mai la testa. Ubaldo, un filo di voce: “Colui che ti ha concesso la corona imperiale in terra, ti conceda in ricompensa il regno dei cieli”. Aridàje! Secondo alcuni cronisti, l’anno prima, nel momento in cui il Papa stava per porgli sul capo la corona imperiale, Federico l’aveva afferrata con le proprie mani, deponendola luminosa sulla propria chioma fulva.

La tenda si chiude. Quando si riapre, Federico dice con gioia che Gubbio è salva; lo dice mentre pian piano solleva da terra Ubaldo che s’è inginocchiato davanti a lui. Poi si raccomanda alle sue preghiere e umilmente chiede e ottiene la sua benedizione.

Al Deutsches Historisches Institut in Rom, via Aurelia Antica 391, 00165 Roma RM: “Quante altre volte Federico I di Svevia, detto Barbarossa, s’è comportato così?”. Inviare risposta a Congregazione della cause dei santi, piazza Pio XII 10, 00193 Roma RM. Grazie.

AUTORE: Angelo M. Fanucci