Dio? Lo si si trova nel deserto

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini II Domenica di Avvento - anno B

Le tre letture liturgiche di questa seconda domenica di Avvento marcano tre momenti fondamentali della storia del salvezza. Isaia, nella prima lettura, profetizza la venuta gloriosa di Dio in mezzo ad un popolo senza speranza (Is 40,1-11). Nella proclamazione del vangelo, appare la figura di Giovanni il Battista, nel quale si compie la profezia di Isaia (Mc 1,1-3). Nella seconda lettura san Pietro discorre sui tempi e i significati della venuta del Signore (1 Pt 3,8-14).
L’ambiente in cui tutto questo avviene è il deserto. Nelle narrazioni bibliche il deserto è molto più che un luogo geografico; è la cifra che allude alla solitudine dell’uomo, alla sua impotenza dinanzi alla vastità, alla necessità che Qualcuno lo soccorra, altrimenti ne è risucchiato e distrutto. Alcuni nostri contemporanei, credenti e non, tentano l’esperienza del deserto, forse in cerca di qualcosa che li ponga davanti a se stessi, riveli loro l’origine del tutto, i destini, Dio. Nell’Antico Testamento il deserto evoca il male, la paura, il luogo dove la vita è impossibile; ma è anche il luogo ideale del primo incontro con Dio, della sua rivelazione, il tempo del fidanzamento (Gr 2,2), la nostalgia.

È il luogo della lunga marcia del popolo liberato dalla schiavitù dell’Egitto. Lì sperimentò fame, sete, malattia, ma anche la vicinanza di Colui che li sfamò, li dissetò, li guarì. Nel Nuovo Testamento è il luogo dell’incontro con Dio attraverso la prova e la purificazione: Gesù vi si ritira per pregare, per essere tentato, per moltiplicare il pane. Giovanni Battista lo percorre, annunciando la prossima apparizione del Messia. Il deserto è anche lo sfondo della liturgia di oggi: la predicazione di Isaia e di Giovanni Battista. La figura del profeta Isaia attraversa interamente il tempo d’Avvento.

Domenica scorsa lo abbiamo ascoltato in quel brano di poesia assoluta, che intrecciava invocazioni, lamenti, rimproveri a Dio. Oggi lo ascolteremo nell’apertura della seconda parte del suo libro, tradizionalmente detto “libro della consolazione”. v “Consolate, consolate il mio popolo… e gridatele che la sua tribolazione è compiuta”. Di che tribolazione sta parlando? Quando il profeta dà inizio a questa predicazione, è trascorso oltre mezzo secolo da che Gerusalemme è stata distrutta dalle truppe babilonesi e gran parte della popolazione deportata. Nei giorni tristi dell’esilio, il pensiero dominante del popolo era che gli dèi di Babilonia fossero più potenti del Dio di Israele; infatti lo hanno vinto. Pertanto non c’è speranza di tornare in patria.

Il popolo è ormai un lucignolo fumigante (Is 42,3) che aspetta solo di spegnersi del tutto. A questo punto di massimo scoraggiamento, giunge inaspettato un grido: “La sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dal Signore il doppio per tutti i suoi peccati” (40,2). La liberazione è divenuta possibile. Ma è necessaria la collaborazione del popolo: “Nel deserto preparate la via al Signore”. Fra Gerusalemme e Babilonia c’è il deserto arabo-siriano; terreno fortemente accidentato, allora assolutamente senza strade. Lì bisognava preparare la via.

Ma questo era solo il simbolo di ciò che realmente il profeta chiedeva: cioè la decisione di uscire, credendo che Dio ora lo rendeva possibile, perché Egli è Colui che fa passare per dove non ci sono strade. Lì avrebbero incontrato la sua Gloria, che si sarebbe manifestata a tutti. Questa è una certezza assoluta, “perché la bocca del Signore ha parlato” (40,5). Il profeta insiste ancora: la notizia sia annunciata a Gerusalemme, con voce potente, da “un alto monte” (40,9); “Ecco il vostro Dio!” – e lo indica, mentre si avvicina, come un potente che porta con sé in premio la libertà. Ma ha anche la dolcezza del pastore che fa pascolare il gregge, che “porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (40,11).

“Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio” (Mc 1,1). L’espressione è ben più ricca di quanto appare a prima vista; non intende, cioè, dire: qui incomincia il libro. Sarebbe fin troppo ovvio. Forse la possiamo parafrasare così: ecco come inizia l’annuncio della buona novella: “Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio”. Questo è il cuore dell’annuncio cristiano, oggi come al tempo di Marco.

Il tutto si apre storicamente con la comparsa di Giovanni il battezzatore, figlio di Zaccaria, nel deserto, che ne annuncia prossima la venuta. Si compiono così le profezie di Isaia (40,3) e di Malachia, che aveva lasciato scritta una parola consegnatagli da Dio: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio Messaggero: egli preparerà la tua via” (Mal 3,23). Giovanni è descritto come un antico profeta, nell’abbigliamento e nella dieta. Vive percorrendo la valle inferiore del Giordano, dove tanta gente lo raggiunge, per entrare in un cammino di conversione, attraverso il battesimo. Egli intanto annuncia che sta per arrivare Uno più forte di lui, che battezzerà in Spirito santo (Mc 1,8).

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi