Don Antonio, un sacerdote che aveva un cuore “di madre”

Mons. Antonio Fedeli a 25 anni dalla morte rimane un modello da ricordare e imitare
Mons. Antonio Fedeli

È particolarmente felice la penna di mons. Remo Bistoni narrando quanto abbia attinto e reso, in termini di finezza spirituale, mons. Antonio Fedeli alla bellezza del contesto familiare ed ecclesiale, paesaggistico e culturale.

Nato a Santa Petronilla il 14 luglio 1907 e chiamato molto presto alla vita consacrata, entrando in seminario si sentì raccomandare “libertà e fedeltà” dal suo parroco e mentore, il colto Nazareno Ranieri. Lo ordina sacerdote il 24 giugno 1933 l’arcivescovo Giovanni Battista Rosa, figlio spirituale di Papa Sarto (poi santo) che aveva particolarmente a cuore la formazione del clero. Gli viene assegnata Colpiccione, in attesa che gli s’irrobustisca la salute; comincia a farsi notare “per il grande amore alla liturgia, per la cura dei paramenti sacri, della biancheria d’altare, di tutte le cose insomma destinate al culto divino”. Attua ogni iniziativa che avvicini popolo e Parola: moltiplica occasioni e centri di incontro; sviluppa tutti i rami di Azione cattolica; infittisce le missioni al popolo. Così anche ad Agello, dove arriva nel 1939.

La sua pastorale è sorretta da una formazione permanente: esercizi, corsi, convegni, in particolare sul tema della liturgia. All’adesione ai dettati episcopali aggiunge molto di suo; in tempo di Congressi eucaristici (1926-1933-1941) la festa del Corpus Domini diventa occasione per l’idea di un asilo; lo stesso vale per la devozione mariana, che la sua sensibilità non manca di legare alle “bellezze della natura rinata”. Si prodiga in turni con gli amati confratelli (don Mario Moretti suo cappellano, don Bruno Frattegiani futuro vescovo di Camerino) per vitalizzare la predicazione, e valorizza non solo occasioni locali (la festa del Crocifisso e la devozione a san Pietro Vincioli, che per sua iniziativa Pio XII proclama patrono della nativa Agello) ma ricorrenze ecclesiali legate alla Chiesa universale.

Non rifugge, don Antonio, dai temi sociali e politici del tempo, applicando una carità che trova il vertice quando si reca, solo, la sera del Corpus Domini 1944, a implorare i tedeschi per seppellire i corpi dei parrocchiani appena trucidati. Attualissima la “preghiera del mattino” trovata nel suo breviario: “Per tutte le singole persone che formano e formeranno tutto il genere umano, viste e considerate nella propria situazione personale: di grazia o di peccato, di vita o di morte corporale, di salute o di malattia, di pace o di guerra, tutte le vittime della violenza… specialmente i bambini”. Orazione sacerdotale che rivela “cuore di madre”, come recita il sottotitolo di Bistoni ventilando “novità” teologiche a cui Fedeli fu sempre sensibile: la sua figura segna una continuità più evidente di quanto si creda fra la stagione Sarto-Rosa e il Concilio, con radici nell’episcopato Pecci e ancor più lontano. Se n’accorse l’arcivescovo Pietro Parente, che lo volle “modello fotografico” in un libretto sulla liturgia e nel 1956 lo nominò direttore spirituale del Seminario perugino. Nel 1969 è vicario generale dell’arcivescovo Ferdinando Lambruschini; nel 1982 mons. Cesare Pagani lo nomina arciprete della cattedrale. Muore improvvisamente a Prato, da una famiglia amica, il 9 ottobre 1987.

Per volontà dei familiari, in particolare del nipote Mario, l’Archivio diocesano conserva tre faldoni dell’archivio personale di mons. Antonio Fedeli, documentazione preziosa nel cinquantenario del Concilio, testimoniando il fervore con cui un prete esemplare si adopera nelle singole parrocchie per farsi interprete delle forme e soprattutto dello spirito conciliare. Quanto fosse entusiasta e radicata nella carità evangelica tale adesione lo prova la visita pastorale di mons. Raffaele Baratta (1965-66): si nota la precisione e la premura di Fedeli, convisitatore verbalizzante, nel raccogliere documenti minimali come intenzioni di preghiera di singole famiglie e persino il manoscritto d’una poesia composta da una bimba di otto anni (l’autrice del presente articolo, ndr) per dare il benvenuto all’Arcivescovo.

AUTORE: Isabella Farinelli