Dopo la fine del dittatore

La cattura di Saddam Hussein chiude una fase della guerra in Iraq. Già dai prossimi giorni si vedrà se porterà alla cessazione degli attacchi alle forze alleate, alle istituzioni internazionali ed a quelle del nuovo governo provvisorio iracheno, avviando un processo di pacificazione e di ricostruzione. Sono comunque almeno due i motivi di soddisfazione espressi nei primi commenti. Prima di tutto un dittatore viene assicurato alla giustizia. Si vedrà quale tribunale lo giudicherà: tuttavia il processo potrà rappresentare un’importante occasione di riflessione innanzi tutto per l’area medio-orientale, che resta a rischio elevata instabilità, ma anche per le prospettive della politica internazionale. In secondo luogo gli Stati Uniti possono avviare con maggiori motivazioni l’operazione di progressivo sganciamento dall’Iraq e di insediamento di un governo locale, in quanto almeno uno degli obiettivi del conflitto appare oggi definitivamente acquisito.Restano certo le incertezze della ‘guerra al terrorismo’ su scala planetaria, che rappresenta uno degli assi della politica dell’amministrazione Bush, con nuovi allarmi che lambiscono anche il nostro Paese. Con questa espressione sintetica in realtà non si contempla solo la lotta al terrorismo islamico iniziata dopo l’11 settembre: si intende un più ampio riallineamento del sistema delle relazioni internazionali, non senza evidenti ripercussioni, nelle teorizzazioni di alcuni strateghi ‘neocon’, in particolare in Asia e, come retroazione, in Europa.In realtà proprio il lungo dopoguerra iracheno e le modalità stesse della cattura di Saddam Hussein, dimostrano come il sistema delle relazioni internazionali sia affare assai complesso, che richiede iniziative in diverse direzioni e un ampio coinvolgimento di molteplici soggetti.In questi giorni, di fronte alla prospettiva di un processo a Saddam Hussein, più che il recente esempio di Slobodan Milosevic, che sta difendendosi di fronte al Tribunale dell’Aja, viene evocato il precedente della Germania e del Giappone dopo la seconda guerra mondiale. In realtà oggi in gioco non c’è solo la ricostruzione dell’Iraq, ma anche le prospettive dell’intera area, che parte dalla Terra Santa ed arriva al Pakistan, ove non a caso il presidente della Repubblica è stato fatto segno all’ennesimo attentato. Serve un forte deterrente militare, certo. E gli Stati Uniti hanno ribadito, anche all’opinione pubblica europea, questa fondamentale lezione di realpolitik. Ma per arrivare a risultati definitivi serve anche una grande capacità politica, una grande iniziativa morale. Che in tanti momenti decisivi della storia recente è stata una caratteristica fondamentale dell’iniziativa americana e intorno a questa della solidarietà occidentale.

AUTORE: Francesco Bonini