È Lui il Messia

Due “padri” e i rispettivi “figli” unici e due montagne sono le circostanze su cui è incentrata la Liturgia della Parola di questa II domenica di Quaresima. La pagina tratta dal libro della Genesi ci presenta il “sacrificio” di Abramo intento ad eseguire il comando del Signore di “offrire in olocausto su di un monte” il figlio Isacco.

Conoscendo la conclusione dell’episodio, non ci sorprende la richiesta di Dio ma, se leggiamo attentamente, ne consideriamo tutta l’assurdità! Intanto Dio specifica dicendo ad Abramo di prender “l’unico tuo figlio, colui che ami”: oltre a chiedergli uno straziante martirio del cuore, gli chiede qualcosa che è contro le stesse indicazioni divine che condannano aspramente i sacrifici umani (Lv;Ger). L’assurdità continua perché Isacco, fidandosi del padre, si lascia mettere addosso la legna, si fa legare (‘ aqêdâ) e posizionare sull’altare, sopra la legna dimostrando così di accondiscendere alle iniziative del padre.

Il Targum Pseudo Jonathan, come se volesse “giustificare” Dio, immagina un dialogo tra Ismaele ed Isacco in cui la questione è chi dei due fosse più gradito a Dio. L’autore mette in bocca ad Isacco: “Ecco, oggi, se il Santo – benedetto Egli sia – stesse per chiedermi tutte le membra, io non rifiuterei!”. E la narrazione continua: “Queste parole furono subito udite dal Signore… che mise alla prova Abramo”. In sintesi, chi viene richiesto in olocausto è Isacco, ma chi subisce la prova è Abramo. E Abramo supera la prova e il monte Moria su cui avrebbe dovuto immolare suo figlio diventerà il luogo (monte Sion) su cui sarà edificato il tempio di Gerusalemme (2Cr 3,1). Grazie al “timore di Dio” che Abramo dimostra di avere e che l’angelo gli riconosce (22,12), Abramo sarà identificato come il primo dei saggi in Israele e sarà ricompensato con un’illimitata discendenza. Abramo è anche ispiratore di quanti come lui e il salmista possono dire “ho creduto anche quando ho detto: sono troppo infelice” e sanno riconoscere che Lui gradisce solo i “sacrifici di lode” (Sal 115). L’unico sacrificio umano legittimo è stato quello di Gesù che, come dice l’apostolo Paolo, “non è stato risparmiato”, pur tuttavia la morte non è stata l’ultima parola perché “è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Rm 8,32.34). L’evento della risurrezione Gesù lo ha anticipato agli apostoli a conclusione dell’indimenticabile esperienza della Trasfigurazione, anche se essi non intesero “cosa volesse dire risorgere dai morti”. L’episodio è collocato tra la salita “su un monte alto” e la discesa “dal monte” ed è caratterizzato dalla presenza di Dio Padre, di persone reali (Gesù e i 3 apostoli) e di 2 figure dell’AT (Mosè ed Elia). In merito alla identità di Gesù 3 sono i passaggi che si evidenziano in questa narrazione: Gesù è il compimento delle Scritture, è il Figlio “amato” del Padre, è annunciatore della Sua risurrezione “dai morti”. L’evangelista Marco presenta un dialogo esplicito con il libro dell’Esodo (24): i “6 giorni”, il “monte”, i 3 apostoli (Pietro, Giacomo e Giovanni) che richiamano le 3 figure presenti con Mosè (Aronne, Nadab e Abiu), la “nube”, la “voce”, insomma tutti gli elementi presenti fanno prendere consapevolezza di assistere ad una vera e propria manifestazione del divino così come è stato in occasione della consegna delle 10 Parole. Soprattutto l’entrata in scena di Mosè ed Elia mette in risalto il rapporto di continuità con l’AT: Mosè ed Elia sono i pilastri del profetismo biblico, sono accomunati dall’aver assistito alla teofania sul monte (Es 34; 1Re 19), hanno esercitato la guida di Israele tra sofferenze e incomprensioni, non hanno lasciato traccia dei loro corpi dopo la morte (Dt 34; 2Re 2). Di Mosè è scritto “che nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba” (Dt 34,6) e di Elia che è salito “nel turbine verso il cielo” (2Re 2,11). Giuseppe Flavio di entrambi scrive che sono stati rapiti al cielo (cf. Antichità giudaiche, 4.8.48). Queste peculiarità dei due profeti anticipano Gesù Cristo, ma di Lui non si può dire che è un profeta perché è molto di più e lo palesa la “voce dalla nube”: “è il Figlio mio, l’amato”.

Questa dichiarazione del Padre è inserita nel suggestivo scenario della “nube che li coprì con la sua ombra”. Nella tradizione rabbinica il verbo “coprire” (eb. shakan da cui shekinâ = presenza divina) è usato per alludere alla presenza di Dio tra il popolo e nel tempio. Perciò la nube che copre è l’immagine più autorevole che l’evangelista Marco non tralascia di descrivere perché garante della presenza divina che in questo caso è il Padre che addita il “Figlio amato” e che invita imperativamente tutti ad “Ascoltare”. Il Padre ha così concesso ai 3 privilegiati apostoli di poter godere della gloria divina del Figlio. Li prepara all’altro momento quando nel Getsemani gli stessi 3 apostoli saranno chiamati a vegliare per Gesù in “agonia”. Nella vita delle persone chiamate ad una particolare missione Dio concede “momenti di Tabor” che illuminano i tratti oscuri e forse anche noi in questa Quaresima possiamo approfittare di ricordare quelli concessi a noi e che ci hanno sostenuto nei periodi difficili. I Santi in merito sono un faro per noi perché hanno goduto di particolari doni. Si pensi alla mistica Angela da Foligno che lungo il percorso verso Assisi avvertì (come narrò lei stessa al padre spirituale) la presenza della Trinità: “Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. (…)”.

PRIMA LETTURA
Dal Libro della Genesi 22,1-2.9a. 10-13.15-18

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 115

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Paolo ai Romani 8,31b-34

VANGELO
Dal Vangelo di Marco 9,2-10

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti