Ecco il Salvatore sofferente

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini Domenica delle Palme - anno C

La domenica delle Palme ci introduce nella Settimana santa: tempo della liturgia cristiana che celebra il Mistero massimo della nostra redenzione. La celebrazione cristiana non consiste in un ricordo commemorativo, dove si attiva la sola memoria intellettiva; ma nella ripresentazione sacramentale degli eventi che si realizzarono, una volta per sempre, duemila anni fa; che si svolsero nel tempo, come ogni altro avvenimento umano, ma sono radicati nell’eternità di Dio, l’Eterno Presente, che ha il potere di farli rivivere in ogni generazione di credenti.

La prima parte della liturgia oggi si svolge fuori della chiesa, dove si proclama il Vangelo dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme: re umile, mansueto, popolare, che arriva seduto sopra un asinello preso in prestito, su cui nessuno aveva mai cavalcato, come era uso per i sovrani. I potenti della terra cavalcavano cavalli, erano scortati da militari armati. Gesù entrò in città circondato da gente del popolo, che agitava rami tagliati dagli alberi lungo la via e gridava il saluto messianico: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.

A vedere questo, i farisei, custodi inflessibili dell’ortodossia giudaica, si allarmarono e chiesero a Gesù di far cessare quelle acclamazioni. Gesù rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40). Dopo la proclamazione del Vangelo, l’assemblea cristiana entra processionalmente in chiesa. Il nuovo popolo di Dio accompagna il Messia verso il suo momento supremo.

Nella prima lettura si proclama il “Terzo canto del Servo”. La seconda parte del libro di Isaia scrive di una figura misteriosa, che allude profeticamente al Signore Gesù; figura presentata in quattro carmi, che ne sottolineano altrettanti aspetti. Oggi appunto si proclama il terzo. Nei primi versetti il Servo presenta sé stesso come “un discepolo” del Signore, cui quotidianamente viene “aperto l’orecchio”, come ad ogni autentico discepolo. L’ascolto del Signore lo rende capace di rivolgere efficaci parole di sostegno a chi è abbattuto e di non sottrarsi alle sofferenze provocate dalla malvagità dei nemici.

Nella seconda lettura ascolteremo un brano della lettera di Paolo ai cristiani di Filippi, che egli prese da un inno liturgico già in uso nelle comunità cristiane. Preoccupato dalla notizia di qualche dissenso nella comunità, l’apostolo esorta tutti a rimanere unanimi e concordi; a non fare nulla per rivalità o vanagloria, “ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 21,3), a somiglianza del Figlio di Dio che, pur essendo preesistente alla creazione del mondo, entrò nel tempo dell’uomo, ne assunse tutte le qualità e i limiti; scelse volontariamente di occupare l’ultimo posto nella società, il posto degli schiavi; accettò di essere sottoposto ad un processo politico che lo condannò ingiustamente ad una morte infame, la morte in croce. Proprio per questa sua obbedienza, Dio lo glorificò, innalzandolo sopra a quanto di più alto si possa immaginare. Da allora tutti i cristiani credenti proclamano che Gesù “siede alla destra del Padre”. Fu l’avvenimento centrale nella storia dell’umanità.

La lettura evangelica narra la storia della passione e morte di Gesù, ultima tappa del “cammino” che lo portò dalla Galilea a Gerusalemme. Questa via ora lo condurrà alla destra del Padre. La Passione rappresenta la fine della sua vita e della sua missione terrena e il passaggio alla risurrezione, l’entrata nella gloria. La sofferenza viene assunta in tal modo come elemento indispensabile per la via che conduce alla pienezza di una vita risolta; una via che per primo Gesù ha aperto all’uomo. All’uomo essa appare ripugnante; tuttavia nessuno riesce a sottrarsene. Il racconto presenta la Passione in uno scenario drammatico: attorno alla figura centrale del Cristo si muovono altri personaggi, ciascuno con il suo ruolo: Giuda, i sommi sacerdoti, Pilato, Erode Antipa, Pietro, le pie donne sulla via del Calvario, i ladroni. C’è anche una folla che assiste; nella liturgia essa rappresenta il popolo cristiano, per il quale la Passione è un’esortazione e un insegnamento: ogni personaggio rappresenta qualcuno da imitare o da evitare.

Gesù è presentato da Luca come il compimento della profezia di Isaia sul Servo del Signore, il Giusto sofferente che non si ribella. Il Salvatore sofferente è l’uomo di Dio che, attaccato da potenze ostili, diventa un modello del soffrire innocente, nella pazienza e nel perdono. La Passione è anche la grande prova, cui Luca fece cenno quando narrò l’episodio delle tentazione nel deserto: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,12). Quel momento ora è giunto. Al rifiuto di essere adorato, Satana risponde con l’uccisione di Gesù stesso, a Gerusalemme, la città che “uccide i profeti”. Quella morte sarà vita per noi.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi