Echi della Voce di “don Carlo”

Era, per tutti quelli che lo conoscevano, un amico e un maestro. Sono trascorsi dieci anni da quel 2 febbraio quando ci ha lasciati. Don Carlo Urru, prete, rettore di seminario, vescovo. Di lui faremo una più ampia e dettagliata memoria nel prossimo numero. Intanto vogliamo come pagare un debito a colui che figura come primo presentatore de La Voce nella prima pagina del primo numero della svolta che il settimanale ha avuto nel 1984, esattamente domenica 1° gennaio. Da parte dei Vescovi, in quanto editori del settimanale, scrive un articolo intitolato Nel solco della continuità. Così scrive. “La Voce non ha bisogno di presentazione. La testata ha al suo attivo trenta anni di vita, densi di storia. Per La Voce hanno lavorato con tenacia generosa ed esemplare molte persone, fedeli alla ispirazione che la fecero nascere. A La Voce sono ormai affezionate generazioni di lettori. … Oggi La Voce, dotata di lunga esperienza, riprende il cammino e nella continuità si rinnova. Conferma la sua caratteristica di settimanale cattolico che su tutto informa e valuta, ma che ha particolare, spiccata aderenza alle esigenze e problemi dell’Umbria. Vuole offrire una lettura puntuale e attenta di tutti quei fenomeni regionali che (nel civile, nel sociale e nell’ecclesiale) emergono ed esigono l’impegno e la risposta di tutti… Tuttavia saranno i lettori stessi, con la loro fedele partecipazione, a ottenere che La Voce sia uno strumento agile e di non ardua lettura, serio ma senza sussiego, di sicuro livello culturale ma accessibile a tutti, vario nelle rubriche ma non dispersivo o frammentario… La diffusione de La Voce avverrà attraverso gli abbonamenti e la vendita di tutte le edicole e alla porta di tutte le chiese. Tanto hanno pensato, desiderato e promosso i Vescovi umbri per le loro Chiese. A quanti vorranno assecondare con la collaborazione, il sostegno, la simpatia, questo nuovo impegno a servizio del Vangelo e della nostra gente, non può che andare approvazione e gratitudine”. Nel rileggere queste righe – che ci stanno sempre davanti agli occhi nel poster dell’intera pagina appeso in redazione – ci è venuto spontaneo domandarci se siamo stati fedeli e all’altezza del compito. Gli anni trascorsi hanno portato con sé novità e cambiamenti nella società, nella Chiesa e nei costumi, nel modo di pensare della gente. Ma la memoria di don Carlo – così è stato sempre chiamato da tutti – ci conferma nel valore di un impegno comune per la diffusione dello spirito cristiano nella società, riconfermato anche dal recente messaggio di Benedetto XVI per la Giornata delle comunicazioni sociali. Don Carlo non era un giornalista ma un professore di italiano, un “pignolo” correttore di temi, spesso critico nei confronti di certi titoli di giornale che umiliavano la lingua italiana. Ma era anche e soprattutto un apostolo del Vangelo e confidava nella nostra attività pur, per molti aspetti, imperfetta. Avrebbe condiviso l’opinione di sant’Agostino: “Ci critichino pure i retori, purché ci comprendano i semplici”. La buona notizia è per tutti, anche se fossero pochi.

AUTORE: Elio Bromuri