Essere uomo o donna è una verità scritta dentro di noi

A Perugia il Congresso nazionale di bioetica personalista, organizzato dal Centro Filéremo, sul tema della identità di “genere”

Nei giorni di venerdì 25 e sabato 26 novembre Perugia ha ospitato il X Congresso nazionale della Società italiana di bioetica e comitati etici (Sibce), che riunisce i maggiori centri italiani di bioetica ad impostazione personalista, tra i quali il Centro di bioetica “Filéremo” di Perugia.
L’idea di ospitare, prima volta nella nostra città, il Congresso nazionale Sibce, nacque nel 2009 in occasione del Congresso nazionale di Capua, allorché il neonato Centro “Filéremo” offrì la propria candidatura, ottenendo il prestigioso incarico per il 2011.
Nella suggestiva cornice del convento di S. Francesco al Monte a Monteripido si sono riuniti i maggiori esperti italiani di bioetica, per confrontarsi sullo “stato dell’arte” nel complesso e controverso tema dell’identità di genere, portando ciascuno un contributo nell’ambito della propria disciplina specifica. I lavori congressuali sono stati aperti dalla prof.ssa Francesca Barone, presidente del centro “Filéremo”, seguita dalla prolusione di mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, e dal saluto dei membri del Consiglio direttivo Sibce.
Successivamente, mons. Ignacio Carrasco De Paula, presidente della Pontificia accademia pro vita, ha tenuto una lectio magistralis sull’identità di genere alla luce del rapporto tra scienza e fede, con un forte richiamo alla necessità di rivalutazione della legge morale naturale come elemento fondante della relazione sessuata uomo-donna.
A partire da venerdì pomeriggio, si sono succedute le tre sessioni “tecniche”: in primo luogo la biopsicologica, che ha chiarito alcuni punti fondamentali sulla relazione tra natura e cultura nell’ambito dell’identità di genere, ma soprattutto come la struttura neuronale, neurofisiologica e neuropsicologica dell’uomo e della donna differiscano in maniera sostanziale, tanto da non poter essere interpretate in chiave di ambiguità. Dalle relazioni è emerso come la dissociazione tra componente psichica e corporea, il distacco da elementi naturali per portare la sessualità nel terreno della sola libertà, comporti gravi squilibri psichici e rischi di configurare elementi di tipo patologico della personalità.
La sessione socio-antropologica ha puntualizzato come la “teoria gender”, originariamente nata nel contesto della lotta di classe e del femminismo militante, sia evoluta in seguito verso una matrice teorica di stampo decostruzionista, che riduca la differenza tra uomini e donne alla costruzione sociale di ruolo sessuali. Le frontiere del maschile e del femminile sono confuse e possono cambiare nella stessa persona e nei diversi periodi della vita: la differenza sessuale non si definisce più in rapporto alla generazione ma in relazione all’interpretazione soggettiva del desiderio sessuale di ciascuno, divenendo in tal modo un orientamento. Ciascuno può scegliere il proprio genere, indipendentemente dal proprio sesso, potendo spaziare in una gamma opzionale che va dall’eterosessualità all’omosessualità, transessualismo, lesbismo, bisessualità, fino a giungere alla “teoria queer”, in cui il soggetto è svincolato da ogni inquadramento e libero di passare attraverso le varie esperienze della sessualità/genitalità prima di scegliere in quale contesto collocarsi o se rimanere come un’entità fluttuante.
La sessione biogiuridica ha affrontato infine il tema del diritto alla luce della determinazione di genere tra biologia ed interpretazione soggettiva. I relatori hanno sottolineato come a tutt’oggi esistano solo indicazioni generiche sulla lettura delle differenze sessuali in chiave giuridica, ma non esistano ancora adeguati strumenti legislativi in grado di ottemperare alle indicazioni impartite a livello comunitario.
Come sottolineato in conclusione di lavori dal prof. Filippo Maria Boscia, presidente della Sibce, per la prima volta è stato affrontato in maniera interdisciplinare il problema dell’identità di genere, delle sue rilevanze cliniche, psicologiche, antropologiche e giuridiche, senza trascurare le ripercussioni sull’istituto della famiglia. Dal congresso è emerso il messaggio che, di fronte ad un panorama culturale dominato dal pensiero debole e dal relativismo etico, dal mondo cattolico si richiedono risposte forti e proposte che, pur nel rispetto del dialogo, mantengano tuttavia la fedeltà ad un messaggio di coerenza fondato su principi antropologici forti.