Fermarsi per correre

La frase è di Michael Schumacher. L’ha detta in un’intervista, smascellando qualche parola di italiano (era ora). ‘Non potrei correre come corro se non mi fermassi del tutto due mesi all’anno’. Intelligente, il ragazzo. Ha vinto sei campionati del mondo di fila, e solo con lui la Ferrari ha rotto un digiuno che durava press’a poco dalla guerra di Troia; ma per vincere la Formula 1 non occorre intelligenza della vita: basta l’intelligenza delle viti, dei cilindri, e dei pistoni e della altre diavolerie che contribuiscono a lanciare quegli incoscienti a oltre 350 km all’ora; occorre anche saldezza di nervi, simile a quella che dimostrano i migliaia di sconosciuti addetti a tirare il collo ai capponi sotto Natale, per quattro soldi, o a sgozzare gli agnelli a Pasqua. Intelligente, il ragazzo. Ha dimostrato anche una buona intelligenza della vita. Ma perché non lo raccogliamo, il messaggio di Schumi? Perché non ci fermiamo un po’? Nella mia città il periodico ‘Gubbio oggi’ pubblica mensilmente, in chiave bonario/ sarcastica, un sondaggio su come, intervistata al volo, in strada, la pensa la gente sugli argomenti più diversi. Le risposte sono tutte improntate all’umorismo dissacrante che, se proviene dalla città dei Ceri, dormicchia anche nella suora di clausura che ha raggiunto l’ultimo piolo (il più alto) nella scala della perfezione. Secondo lo Zi Baldino, curatore dell’inchiesta, a qualsiasi domanda di qualsiasi genere su qualsiasi argomento il 96-98% degli eugubini risponde: ‘Làsceme gi’, ché ci ho da fa’!’. Tutti ‘c’èmo da fa”. Sempre e comunque ‘c’èmo da fa”. Dicono certi amici del Signore, che tutte le sera dopo cena parlano con Lui (‘Il Signore m’ha detto”), che anche Sorella morte’, beh! non che sia proprio preoccupata, ma insomma’ comincia a temere che una volta o l’altra qualcuno di quelli alla cui porta è incaricata di bussare si rifiuti di aprirle, gridandole, da dietro la porta: ‘Làsceme gi’, ché ci ho da fa’!’ Ho partecipato a una giornata di studio e di preghiera che l’Èquipe Notre Dame ha tenuto a S. Secondo. Giovani coppie, ma anche meno giovani, impegnate a registrare il proprio rapporto alla luce della Parola di Dio. Mi sono trovato molto bene. M’hanno anche dato certi scudi, alla fine, ‘Per le sue opere di bene’, hanno detto, e io sono stato tentato di comperarci una bottiglia di Cardenal Mendoza, che in questo momento è l’opera di bene che mi riesce meglio. Mi sono trovato bene soprattutto quando ho chiesto qual è l’impegno più qualificante che assumono quando entrano a far parte dell’Èquipe Notre Dame. M’hanno risposto: metterci seduti l’uno di fronte all’altra, e l’altra di fronte all’uno, un paio d’ore la settimana, guardarci negli occhi, parlare. Chapeau, mes ènfants! Non so a casa vostra, ma questa a casa mia si chiama saggezza.