Festa a Terni per il 50° di messa di mons. Vecchi

Grande festa in diocesi per il 50° di ordinazione sacerdotale di mons. Ernesto Vecchi. Le sue parole rivolte soprattutto ai sacerdoti
Un momento della celebrazione
Un momento della celebrazione

Una bellissima liturgia e un incontro di comunione con il clero diocesano e con la comunità cristiana che guida da sei mesi. La celebrazione di 50 anni di sacerdozio del vescovo Ernesto Vecchi, amministratore apostolico, è stato questo: un dono bello e ricco di spiritualità per la diocesi, che ha accolto il vescovo Vecchi subito con affetto e gioia apprezzandone la schiettezza, il dinamismo e la disponibilità. Per l’occasione la comunità ha fatto dono al Vescovo di un nuovo Pastorale.

Molti i sacerdoti diocesani che hanno concelebrato con il Vescovo e ai quali più volte mons. Vecchi si è rivolto direttamente nella sua omelia: “Quando ho scritto queste riflessioni ho pensato proprio a voi, cari sacerdoti, e alla bellezza del nostro ministero – ha detto -. L’incarico che sto svolgendo mi è stato affidato dal Papa, e a tutti voi, sacerdoti e laici, chiedo di continuare a starmi vicino nella mia missione”.

La celebrazione è stata aperta dalla lettura del messaggio augurale di Papa Francesco a mons. Vecchi. “Ringrazio il Santo Padre Francesco che, prima di partire per Rio de Janeiro, ha voluto inviarmi il suo augurio e la sua benedizione apostolica – ha poi aggiunto nell’omelia -. Questo atto di benevolenza verso la mia persona manifesta ancora una volta la paterna premura di Papa Francesco nei confronti della nostra comunità diocesana, che in questi ultimi tempi ha potuto fare tesoro dei suoi orientamenti diretti e concreti”.

Mons. Vecchi si è quindi soffermato sul sacramento dell’Ordine: “Durante l’ordinazione sacerdotale, la grazia sacramentale scende come un fuoco sui futuri presbiteri; il loro essere viene investito dell’energia dello Spirito, che li sigilla in una consacrazione indelebile e nuova, trasformandoli in una immagine oggettiva di Cristo.

Cinquant’anni fa, il 25 luglio 1963, eravamo in 20, nella cattedrale di San Pietro a Bologna, a ricevere l’unzione sacerdotale dal cardinale arcivescovo Giacomo Lercaro, una consacrazione che ci univa per sempre alla Chiesa, Sposa di Cristo. Con il sacramento dell’Ordine, infatti, il prete è configurato a Gesù Buon Pastore in un rapporto misterioso ma reale, che gli cambia la vita: da membro del popolo di Dio nella Chiesa, il sacerdote è posto di fronte alla Chiesa come capo, pastore e sposo. Egli diventa cooperatore dell’ordine episcopale e assume un potere che gli dà una responsabilità enorme, perché agisce in persona Christi per la salvezza del mondo. Ciò significa che il prete non fa un mestiere qualunque, perché lo Spirito santo lo ha modellato su Cristo, proprio come dice san Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me’ (Gal 2,20).

Viste però le condizioni precarie in cui si trova oggi la società, possiamo dire con certezza che il prete – modellato secondo l’identikit di Papa Francesco – è sempre più indispensabile per dare un senso alla vita, schiacciata dalla ‘filosofia del presente’: viviamo concentrati come su un punto geometrico, senza lunghezza, senza larghezza né profondità (Baumann). Ne consegue che il tempo perde il suo senso e uccide i criteri per distinguere il bene dal male. Il prete, dunque, non è una figura anacronistica, ma il segno sacramentale di Cristo in terra. Con l’eucaristia, vera ‘fissione nucleare’ dello Spirito, egli assicura l’accesso alla Verità e all’Amore, sorgenti della vera cultura, che non distrugge l’uomo, ma lo promuove”.

Poi, rivolgendosi ancora ai sacerdoti, li ha esortati ad essere “ancorati alla santa messa ogni giorno della vita. Ogni atto del vostro ministero sia innestato nell’altare. È la grandezza dell’altare che ci fa tremare e ci incanta. Lì è Cristo, che mediante la sua morte ha distrutto la nostra morte e con la sua risurrezione ci ha ridato la vita. In questi cinquant’anni ho sempre sintonizzato il mio ministero di parroco e di Vescovo su questa lunghezza d’onda”.

“Nonostante i miei limiti e le mie mancanze – aggiunge -, l’eucarestia quotidiana mi ha immerso nella Parola di Dio e nel magistero della Chiesa. Per questo, la misura del mio ringraziamento al Signore è senza limiti. Ho voluto celebrare qui a Terni questa mia festa giubilare, perché mi sento parte integrante di questa Chiesa, che porta in sé le tracce di una gloriosa tradizione di santità, di carità e di promozione culturale.

Lungo i secoli a Terni, Narni e Amelia, l’eucaristia è sbocciata a tutto campo, contribuendo in modo determinante a dare consistenza e vitalità, nei secoli, al tessuto territoriale: nei monumenti, nell’arte, nelle opere di misericordia e di promozione umana, nelle strutture educative e ricreative, nelle forme celebrative ricche di contenuti, di gioia e di autentica festa. La Chiesa ternana, narnese e amerina dall’inculturazione dell’eucarestia ha saputo radicare nel popolo il senso di appartenenza alla comunità e coniugare in mirabile sintesi fede e vita, contemplazione e azione, verità e libertà, tradizione e innovazione.

Nella venerata memoria dei Vescovi ternani del XX secolo, i monsignori Moretti, Boccoleri, Bonomini, Dal Prà, Quadri e Gualdrini, chiedo al Signore un dono speciale per questa nostra Chiesa: l’incremento delle vocazioni sacerdotali e religiose, per mantenere aperto il fronte della speranza nelle nuove generazioni.

Chiedo poi a tutti voi, sacerdoti e laici, di continuare a starmi vicino nella mia missione di vescovo amministratore apostolico, che durerà almeno per altri sei mesi. Poi si vedrà. Ho accettato questo compito con spirito di servizio e per il bene della Chiesa, che amo. Le trame sotterranee non risolvono nulla, perché emergono sempre e producono ulteriori lacerazioni, mentre la comunione ecclesiale è l’humus indispensabile per ritrovare la tranquillità economica e la stabilità pastorale”.

AUTORE: E. L.