“Festa della donna” in chiave di rivolta. A che serve?

Sei donne seguite da Amnesty international

Festa della donna: non ricordo da quanto è stata inventata e, come ho detto altre volte, non mi piace. Perché? Per darci un compenso, per ufficializzare il nostro diritto all’uguaglianza? (Già siamo andate oltre). Subito ne hanno fatto un commercio: noi non vogliamo la nostra festa, siamo sufficientemente consapevoli del nostro essere insostituibili, della nostra innata uguaglianza, nata già (milioni di anni fa dalle mani di Dio); non intendo elencare le ingiustizie che si sono accumulate nei secoli e che non sono ancora sparite; perciò la donna sta lottando: la cosa meravigliosa è che non sta lottando per sé, in modo personale, ma da molto tempo sta lottando eroicamente in tutti i campi nei quali la sofferenza, la miseria, i soprusi, le violenze sconvolgono gli esseri umani, ridotti a miseri involucri di paura, di vergogna, di schiavitù, d’ignominia. Eccole “le madri coraggio”: che non sfiori l’indifferenza queste sacrosante parole, che ci devono penetrare come una ferita. “Le donne che difendono i diritti umani, rappresentano una doppia minaccia: sfidano l’arbitrio e l’impunità e non stanno ‘al posto loro’, in quel posto di retrovia e sottomissione che una cultura basata sulla discriminazione e sul pregiudizio ha loro assegnato. Per questo, esse sono vittime, con una frequenza allarmante, di arresti arbitrari, minacce di morte, maltrattamenti, torture e uccisioni. Il tutto spesso con la silenziosa acquiescenza o, addirittura, con l’attiva partecipazione delle autorità”. Riportiamo di seguito dalla quarta pagina di un dépliant di Amnesty international (Italia) sei casi di donne seguiti dall’Associazione: Khadija Chérif e Naziha Boudhib, (Tunisia) – avvocatesse dell’Associazione tunisina delle donne democratiche. All’inizio del 2001 hanno subito una brutale aggressione. La documentazione sui casi di violazioni dei diritti umani che stavano seguendo è misteriosamente scomparsa. Asma Jahangir e Hina Jilani, (Pakistan) avvocatesse impegnate nella difesa di una donna in una causa di divorzio. Per questo, sono divenute oggetto di una farwa (sentenza di morte emessa da un’autorità religiosa). La loro cliente è stata assassinata in uno dei tanti “omicidi d’onore” che insanguinano il Paese. Le aderenti all’Organizzazione femminile popolare in Colombia , un’associazioni indipendente di Barrancabermeja. A causa del loro impegno accanto alla popolazione civile, stremata da anni di conflitto e violenza, continuano a ricevere minacce di morte da parte dei gruppi paramilitari che operano nella zona. Shirin Ebadi, (Iran), avvocatessa delle famiglie di alcuni scrittori e intellettuali uccisi nel 1998-99. Perseguitata a causa delle indagini che stava svolgendo, nel 2000 è stata sottoposta a un processo segreto per aver prodotto e diffuso una videocassetta sulla repressione anti-studentesca del luglio 1999, materiale che secondo l’accusa “disturba l’opinione pubblica”. Martadinata, 18 anni, (Indonesia) attivista del Gruppo di volontariato per l’umanità. Nel 1998 è stata sgozzata da uno sconosciuto. In precedenza aveva ricevuto minacce di morte a seguito delle sue inchieste sugli stupri commessi nei confronti di donne di etnia cinese. Ding Zilin, Repubblica popolare cinese, madre di un ragazzo assassinato durante le manifestazioni per la democrazia del 1989. Nonostante arresti, intimidazioni e aggressioni, continua a portare avanti le ricerche per stabilire la verità sul massacro di piazza Tianamnen e ottenere la punizione dei responsabili.

AUTORE: Aminah Corsini