Gesù come Messia

La Parola di Dio di questa IV Domenica di Quaresima ci pone davanti ad una scelta: il Signore o gli idoli? La luce o le tenebre? Il brano tratto dal II libro delle Cronache esprime infatti un giudizio nei riguardi delle guide giudaiche che hanno scelto di contravvenire a quanto più di tutto il Signore desidera da loro: la fedeltà. E non solo hanno “imitato in tutto gli abomini degli altri popoli”, ma hanno “contaminato il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme” provocando l’ira divina e causando la distruzione del tempio stesso, la demolizione delle mura di Gerusalemme e la deportazione di buona parte del popolo a Babilonia. Il Salmista descrive allora la condizione dei deportati che in terra straniera piangevano ricordando Sion e professando con tono imprecatorio la fedeltà alla Città del Signore: “Se mi dimentico di te, Gerusalemme, mi si attacchi la lingua al palato … se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”. Il Signore ha così ispirato uno straniero, Ciro re dei persiani, che nel 538 ha promulgato l’Editto con cui ha concesso ai deportati di salire a Gerusalemme e di costruire un “tempio” al Signore. Come il Signore ha concesso l’opportunità al popolo dell’antica alleanza di “tornare” e “ricostruire”, così ora il “Figlio unigenito” concede l’opportunità perché “il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Questa verità Gesù la riferisce a Nicodemo nell’occasione in cui lo stesso è andato ad incontrare Gesù di notte. La Liturgia di questa domenica ci propone l’ascolto della seconda parte del dialogo di Gesù con Nicodemo che è per lo più un monologo di Gesù. Nicodemo rientrava nel numero di quei farisei che erano affascinati dall’insegnamento di Gesù ed avevano creduto in Lui pur tuttavia senza dichiararlo apertamente per non essere espulsi dalla sinagoga (12,42). A lui Gesù parla di se stesso in parallelo con Mosè: come l’innalzamento del serpente ad opera di Mosè significò la salvezza di quanti guardavano il serpente, così l’innalzamento del “Figlio dell’uomo” otterrà la vita eterna a quanti crederanno in Lui. E subito spiega che per “innalzamento” si intende l’atto supremo di amore del Padre. Posti in alto a mo’ di ammonimento, venivano infatti uccisi i rei di crimini ignominiosi e il Padre “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” sacrificato con la crudezza e l’umiliazione su, nell’“alto” della croce.

Riflettendo scorgiamo anche un altro significato di “innalzamento del Figlio dell’uomo”: negli Atti (2,33; 5,31) con il verbo “innalzare” si indica l’ascendere di Gesù al cielo. E tra l’“innalzamento” della Croce e dell’Ascensione vi è l’“innalzamento” della Risurrezione dalla morte. Gesù sta proponendo a Nicodemo un elevato insegnamento mirato a presentare il “Figlio dell’uomo” come un tutt’uno col Padre al quale si ricongiunge attraverso le tre tappe della Crocifissione, Risurrezione e Ascensione. Il motivo della discesa (Incarnazione) e dell’ascesa (Morte, Risurrezione e Ascensione) è la salvezza del “mondo” e non solo dei discepoli come viene espresso in altre occasioni. Per “mondo” si intende la totalità degli esseri umani, israeliti e non.

E l’Autore della Lettera agli Efesini esprime con verbi al passato una verità che è già conquistata e cioè che non solo il “Figlio dell’uomo” è “innalzato”, ma anche i credenti perché “Dio, ricco di misericordia, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatti rivivere, ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù”. Il Padre ci ha riservato di prender parte alla gloria del Figlio. Ora però spetta a noi accogliere e credere a Colui che è stato “mandato” dal Padre perché la salvezza viene proposta a tutti, ma nello stesso tempo dipende dalla libertà di ciascuno accoglierla credendo al Figlio di Dio. Il credere si riflette poi nell’operare la “verità” perché come è nella mentalità semitica, tutto ha un riscontro nella concretezza. “Operare la verità” biblicamente parlando significa “mantener fede” e nella letteratura di Qumran (con la quale il brano giovanneo evidenzia dei messaggi comuni) “fare la verità” equivale ad un vero e proprio “impegno di vita” (1 QsI,5) e, tornando alla pagina del Vangelo “chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”. Quindi, Gesù sembra voler dire a Nicodemo che l’adesione spirituale e razionale alla Sua persona – che è anche ricerca della “verità” – non è fine a se stessa, ma si riflette nella dimensione affettiva (amore e fedeltà alla Sua persona) e nella messa in atto di opere la cui luce è una testimonianza per tutti (amore e fedeltà verso gli altri). A questo punto sentiamoci interpellati: crediamo nel Figlio e le nostre “opere di verità” lo testimoniano, oppure siamo ancora nella fase della ricerca solo di tipo teorico? La testimonianza di una santa umbra, Chiara d’Assisi, per la quale il tempo quaresimale è stato così determinante tanto da condurla la notte della Domenica delle Palme 1212 alla Porziuncola per decidersi definitivamente per Cristo, ci provochi personalmente.

Nel “Testamento” scrive qualcosa che può sollecitare la nostra volontà di ricerca del Signore e la pratica delle opere di “verità”: “Amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità” (59-60).

PRIMA LETTURA
Dal II Libro delle Cronache 36,14-16.19-23

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 136

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera di Paolo agli Efesini 2,4-10

VANGELO
Dal Vangelo di Giovanni 3,14-21

 

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti