Gesù è Risurrezione e Vita

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini V Domenica di Quaresima - anno A

La liturgia della quinta domenica di Quaresima propone alla riflessione dell’assemblea liturgica il racconto del settimo e ultimo “segno” operato da Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni: la risurrezione del suo amico Lazzaro, qualche settimana prima della propria morte e risurrezione. Il segno precedente era stato la guarigione del cieco nato, con cui Gesù proclamava se stesso “luce del mondo”. Con questo segno si proclama “vita del mondo”. Luce e vita. I due titoli cristologici erano già apparsi congiuntamente nel prologo: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4). Nel drammatico scontro fra fede e incredulità, quest’ultimo segno rappresenta un’ultima, potente spinta a credere: “Alla vista di quel che egli aveva compiuto, molti credettero in Lui” (11,45). Ma scatenò anche l’ira dei suoi nemici.

Non tutti i presenti al miracolo infatti credettero, anzi alcuni di loro andarono dai capi dei giudei e riferirono l’accaduto. Questi, vedendo la marea montante della gente che aderiva a Gesù, decisero di eliminarlo. Stiamo andando verso i giorni della passione, morte e risurrezione. Il racconto dell’evangelista si svolge in cinque luoghi diversi, che diventano altrettanti scenari. Il primo è situato di là dal Giordano, dove Gesù è raggiunto dalla notizia della malattia dell’amico Lazzaro.(11,1-6). Il secondo sulla strada verso Betania, lungo la quale Gesù discorre con i discepoli sull’accaduto (11,7-16). Il terzo vicino all’abitato di Betania, dove avviene il colloquio con Marta e poi anche con la sorella Maria (11,17-33). Il quarto sulla strada verso il cimitero (11,34-37). Il quinto davanti alla tomba, dove era sepolto Lazzaro (11,41-44). Il colloquio di Gesù con Marta si svolge, significativamente, nello scenario centrale, il terzo, dove egli si proclama “risurrezione e vita”.

Siamo nel cuore dell’annuncio cristiano. Qui Marta, la discepola, professa la sua fede. Le prime due scene preparano la terza, centro della catechesi battesimale. La quarta e la quinta ne sono il sigillo. Alla notizia della grave malattia di Lazzaro, Gesù dice che essa non porterà l’amico alla morte. I discepoli non capiscono, ma egli allude al “segno” che sta per compiere (11,4). Mentre la comitiva sale verso Betania, l’allusione si fa più chiara, ma non ancora del tutto: “L’amico nostro si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Neanche ora capiscono. Finalmente Gesù parla chiaro: “Lazzaro è morto” (11,14). Ciò che poi aggiunge però, è ancora enigmatico: “Sono contento per voi di non esserci stato, affinché crediate” (11,15). Nella terza scena scompaiono i discepoli e compare Marta che va, sola, incontro a Gesù e, senza nemmeno salutare, comincia a lamentarsi che lui è stato assente proprio nel momento del bisogno: avrebbe evitato la morte del fratello.

Gesù la rassicura: “Tuo fratello risorgerà”. Lei interpreta le parole come riferite alla risurrezione finale. A questo punto Gesù fa quell’affermazione incredibile, che è il vertice della catechesi di questa liturgia: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà, e chiunque vive e crede in me, non morirà mai più” (11,25). Poi le domanda se lei crede all’incredibile. Risponde di sì e professa la sua fede: “Sì, io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (11,27). La stessa fede sarà richiesta al catecumeno, prima che scenda nelle acque del battesimo. Solo a questo punto compare la sorella Maria, che ancora non si era mossa di casa, e fa a Gesù lo steso rimprovero di Marta. Nella scena successiva, assistiamo al corteo di parenti, amici, curiosi, che si avvia al cimitero, nella commozione generale.

Lì Gesù dà ordine di aprire la tomba. Marta gli esprime qualche preoccupazione: il cadavere è in putrefazione. Gesù la esorta a credere: “Vedrai la gloria di Dio” (11,40). Dopo un po’ si ode il grido di Gesù: “Lazzaro, vieni fuori!”. Tutti vedono un morto uscire dalla tomba. Era Lazzaro, tutto fasciato, come si usava fare con i cadaveri, ma vivo e in attesa di qualcuno che andasse a liberarlo da quei residui di morte. Ora tutti possono testimoniare che la dichiarazione fatta a Marta era reale: “Io sono la risurrezione e la vita”.

A noi che abbiamo una qualche familiarità con le Scritture sante, e che continuiamo ad ascoltare queste parole, spesso con un po’ di disinvoltura, sfugge probabilmente la portata rivoluzionaria delle parole di Gesù. In lui, non solo la morte fisica non è più l’ultima parola sul destino dell’uomo, ma è possibile sperimentare, qui e ora, la risurrezione dalle molte esperienze di morte cui la Storia sottopone ciascuno di noi. La vita fisica che è tornata in una salma in putrefazione è solo un pallido riflesso di quella vita vera che Gesù risveglia nel credente. Il possente grido con cui fa uscire Lazzaro dal sepolcro è solo una debole eco di quel grido con cui egli, l’inviato di Dio, chiama alla vita tutti gli uomini che credono in lui.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi