Hai un tesoro in cielo. Ti fidi?

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXVIII Domenica del tempo ordinario - anno B

L’evangelista Marco ha sempre cura di collocare gli insegnamenti di Gesù in una scena concreta. La scorsa domenica lo abbiamo lasciato nel cortile di casa con i discepoli e alcuni bambini, che abbracciava e benediceva. Oggi lo troviamo mentre si mette in strada. Presto sapremo che quella strada porta a Gerusalemme, dove si compiranno i misteri della sua Pasqua. La vicenda di Gesù accelera verso la conclusione. Ben presto la scena si movimenta: un tale gli corre incontro, si butta in ginocchio e lo interpella: “Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Era inusuale interpellare un rabbi con quell’attributo; tant’è che Gesù lo rifiuta, precisando che l’unico Buono è Dio. L’interlocutore ha forse scoperto di trovarsi davanti al Verbo incarnato? Certamente no! Forse allora lo sta adulando? Chissà.

Comunque Gesù coglie l’occasione per fare cenno a quella Scrittura che proclama: “Il Signore Dio nostro è l’unico Signore, che amerai con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze” (Dt 6,4). Poi gli risponde articolatamente, enumerando alcuni precetti del Decalogo, sei per la precisione. Ogni ebreo sa che la completezza sta nel numero 7. Nella enumerazione di Gesù un precetto era stato dunque sottaciuto. Quale? L’interpellante dice di averli tutti osservati, fin da quando era ragazzo. L’affermazione era rischiosa: chi può dire, a cuor leggero, di avere osservato sempre “tutta” la legge del Signore? Di fronte a tanta ingenua incoscienza, Gesù si emozionò e prese ad amarlo. (Qualche studioso traduce: “lo baciò”). Aveva osservato tutto, tranne il precetto più importante, il settimo sottaciuto: “Amerai Dio… con tutte le tue forze”. I maestri insegnavano che quando la Scrittura dice “con tutte le tue forze”, intende “con tutte le tue ricchezze”.

Quando Gesù gli dice che gli manca solo di andare a disfarsi delle sue ricchezze a favore dei poveri, per avere un tesoro in cielo, non fa che ricordargli quello che avrebbe dovuto già sapere. Non esigeva da lui un di più, ma gli chiedeva solo di essere coerente con quanto aveva affermato. Tanto bastò per farlo oscurare in volto. Marco precisa che possedeva molte ricchezze. Alcuni pensano che fosse un figlio di papà. E così se ne andò triste: non se la sentì di fare sul serio. Partito il ricco, il dialogo continuò con i discepoli. Dispiaciuto del rifiuto, Gesù si lascia andare ad un commento amaro: “Quanto è difficile entrare nel Regno, per quelli che hanno ricchezze!”. Loro cominciavano a non capirci più niente. La voce corrente sosteneva che la ricchezza era segno della benedizione di Dio, il quale ricompensava così le buone opere.

Ora il Maestro ne parlava invece come di un grave pericolo. Ma Gesù incalza: “Figli, quanto è difficile…”. È l’unica volta, nel Vangelo secondo Marco, che li interpella così teneramente: “figli”. Partecipa alla loro difficoltà di capire quella antica novità; e senza addolcire la pillola: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…”. (Alcuni ricercatori hanno tentato di rendere più digeribile alle nostre delicate orecchie occidentali la faccenda del cammello e della cruna dell’ago, ipotizzando che la parola “cammello” possa essere tradotta “fune” o che “la cruna d’ago” fosse il nome di una piccola porta di servizio nelle mura di Gerusalemme. In realtà il paragone, che a noi appare di una sproporzione incomprensibile, era assolutamente accettabile da un ebreo dell’epoca, avvezzo a immagini forti). Rimasti senza fiato, i discepoli intervengono: se le cose stanno così, sarà impossibile salvarsi! Ma Gesù li spiazza di nuovo: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio; perché tutto è possibile a Dio”.

Rincuorato da questa assicurazione, Pietro prende coraggio e domanda che cosa avranno in cambio loro, che hanno lasciato tutto per seguirlo. La risposta è ancora più sorprendente: “Il centuplo in questo mondo, insieme a persecuzioni, e la vita eterna in quello avvenire”. Pensavo: in un tempo come questo, in cui siamo ostaggi dei mercati, e le prime pagine dei giornali non parlano d’altro, e abbiamo la testa piena di indici di Borsa e di spread, questo racconto non sembra forse una bella favola?

Quanti ascoltatori di questa Parola si sentono segretamente dalla parte di quel ricco, che non è stato così stupido da abbandonare la fortuna che aveva tra le mani, per aspettarne una conservata in un ipotetico mondo a venire? Al tempo di Francesco d’Assisi, fatte le proporzioni, la maggior parte della gente, su questo argomento, pensava come pensa l’uomo secolarizzato di oggi; sebbene allora andassero tutti in chiesa. Lui però fu così ingenuo da prendere per buona la parola di Gesù e di ritenerla assolutamente affidabile. E vide avverarsi nel corso dei suoi anni la promessa del centuplo, in fratelli, sorelle, figli, madri… Oggi milioni di persone lo ammirano, pensando che in fondo era uno che aveva capito.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi