Hanno ucciso la speranza

Eritrea. La tragedia nel deserto del Sinai vista dagli occhi di un missionario

Sedici anni non sono proprio come un batter di ciglia. Soprattutto quando questo tempo è passato in un altro Paese, l’Eritrea, dove ho vissuto la gioia della liberazione e la sofferenza di una guerra… continua. Un missionario non è un sociologo o un politologo, è semplicemente una persona che vive con la gente, con i giovani e i ragazzi, come sono stato chiamato a fare io, in Asmara. Se i primi anni, dopo il 1993, anno del referendum e della ufficiale “liberazione”, sono stati caratterizzati dalla gioia e dall’entusiasmo, ora si è passati ad una stagione che definirei “senza speranza”. Quello che a noi appare come emergenza, lì è quotidianità. Tuttora non riesco a capire come faccia una famiglia a vivere, senza lavoro, senza reddito, con tanti figli da mantenere. Eppure la disperazione di chi cerca di uccidersi per la povertà è rara; sono casi unici quelli dei ragazzi che abbiamo soccorso e alloggiato da noi perché la mamma, sordomuta, con l’affitto di casa sempre più alto da pagare e un marito senza lavoro e quattro figli da mantenere, ha cercato di togliersi la vita. Ciò che fa più stupore e che spaventa maggiormente è proprio la mancanza di speranza. Ne sono vittime, ad esempio, i giovani che – frequentato l’ultimo anno di scuola al liceo italiano di Asmara – non vedono altra prospettiva che la fuga, perché il Paese non offre possibilità né di studio né di lavoro. È difficile far capire: “Io sono venuto dall’Europa fino a voi per aiutarvi a dare un senso alla vita, e voi volete scappare dal vostro Paese?”. Ma come dargli torto se si sentono prigionieri in tutti i sensi, non potendo né parlare o pensare liberamente e nemmeno cercare o creare una fonte di guadagno, un lavoro che dia senso al vivere? Per cercare di fare qualcosa abbiamo aperto le porte della nostra casa religiosa ai ragazzi di strada, che hanno cominciato ad affollare le strade di Asmara già nel 2001, dopo l’ultima guerra con l’Etiopia: una guerra ufficialmente conclusa, ma mai finita nell’animo di chi comanda. I ragazzi più piccoli hanno sempre trovato in noi un aiuto, un conforto, una reale possibilità di vivere serenamente la loro fanciullezza. Perché tanta violenza nei confronti di chi scappa o cerca di farlo? In realtà, se la società è retta sulla paura, non ci si può meravigliare se i metodi sono violenti. Paura di qualcuno che ci può invadere e prendere la nostra libertà conquistata a caro prezzo. Paura che il vicino o il compagno o parente stretto parli male di te e ti denunci. Paura che quello che fai non sia accettato da chi comanda, e quindi ne paghi poi le conseguenze. Anche paura di pregare con degli amici in casa, dato che alcuni hanno visto la prigione per questo e ci sono rimasti per dei giorni! È facile che questi giovani, vissuti per anni in queste paure, non abbiano poi più paura di niente e siano capaci di sfidare il deserto, il mare, i predatori senza scrupoli. A scuola spesso i ragazzi mi domandavano: “Per un cristiano è lecito imparare a sparare?”. Fare il servizio militare in Eritrea non è solo formalità, perché poi la guerra a quel tempo c’era veramente sul confine! Le domande. Lì, sono più che mai reali, e le risposte non sempre arrivano, anzi… Noi che sapremmo rispondere? Io non so che dire; faccio un appello alla coscienza e invito ciascuno sempre a confrontarsi con Gesù Cristo e la sua Parola. Ecco; lì ho trovato la vera fede. Ho regalato una Bibbia ad un mio amico, un papà di famiglia di tre bambini, andato al servizio militare dodici anni fa. Me l’ha mostrata tutta scritta e sottolineata, segno di un vissuto di altri tempi, che io pensavo esistesse solo nei vecchi film. Invece era ed è reale: per lui, per tanti giovani e uomini di quella terra la Bibbia è l’unico vero appiglio ad una vita che altrimenti non avrebbe senso. Io, come prete, sono sprofondato. Con tutti questi ricordi nel cuore potete immaginare come vivo io oggi, qui in Italia, tra liti di politici e urla altisonanti su cose che, viste dal deserto dell’Eritrea, non hanno alcun senso. Il senso della vita è ben altro, e io sono chiamato a rinnovarlo ogni giorno, sicuro che il Signore della vita mi aiuterà a vincere anche questa volta.

AUTORE: Flavio Paoli