I campi estivi

Riparte l’anno scolastico; si chiude la stagione dei campi estivi, una delle iniziative più fruttuose che le nostre parrocchie abbiano messo in campo per la formazione dei giovani. Fruttuose e pesanti, nella misura in cui s’innalza l’età del prete e la turbolenza dei ragazzi. Di quella turbolenza feci esperienza anch’io, a suo tempo, come docente di Lettere classiche che, a turno con gli altri insegnanti, dovevo organizzare quelle gite scolastiche alle quali gli studenti tenevano più di ogni altra cosa. Io aborrivo le gite scolastiche, ma una volli organizzarne, una dovetti subirla.

Quella che organizzai la feci con i ragazzi nati nel 1962, un quindicina in tutto, con i quali raggiungemmo Roma in treno, fra gli sghignazzi di tutte le altre classi, convinte che, se la gita non andava lontano di almeno mille chilometri, non era una gita scolastica. Ci piazzammo al centro di Roma, nella pensione Eletta, vecchia ma pulitissima, e a buon prezzo, all’angolo di piazza del Gesù. E girammo Roma a piedi, visitando una limitata ma selezionata serie di capolavori, con in testa il Mosè di San Pietro in Vincoli e la Galleria di palazzo Spada, dove il Borromini aveva dimostrato al mondo come gli artisti ormai dominassero talmente la tecnica della prospettiva da ingannare anche l’occhio del più esperto dei visitatori, e cenammo al ristorante di Piero Gabrielli, un vecchio amico, padre di un handicappato, con il quale avevamo organizzato una manifestazione. Come al tempo di Goethe: posate di alluminio, sedie traballanti, stoffe pendenti dalle

plafoniere che davano luce. E un cuoco… a “S”, gobba e pancia in fuori, ma che roba sapeva cucinare!

Invece la gita che dovetti organizzare un anno prima di andare in pensione (con 19 anni, sei mesi e un giorno di servizio!), si risolse in una disastro. Andavamo sul lago di Garda. Già in partenza venne esposto da ignoti sul lunotto posteriore del pullman uno striscione con la scritta “Non rompete i… marroni!”; e in quei tre giorni i comportamenti dei ragazzi non diedero mai l’impressione di essere frutto di umana intelligenza. Il più geniale scherzo fu quello di riempire di schiuma da barba la bocca di Sofia Farneti, che sonnecchiava sul suo sedile.

Non ci fu tregua nemmeno la notte: due notti di follia, botti, urla, vasi in frantumi.

Unico momento di tregua, quando li accompagnammo tutti a ballare in un night. Io ovviamente non entrai, anche perché 100 metri più avanti la luna illuminava una panchina, e dietro di essa si estendeva un cimitero. Cimitero, letteralmente “dormitorio”. Mi coricai sulla panchina, bofonchiando: “Finalmente… gente tranquilla”. E dormii.

Ma che c’entra questo ciarpame con i campi estivi per i giovani delle parrocchie?

Alla prossima. Non per nulla le abat jour sfilano una alla settimana.