I poveri come luogo teologico

Era il 6 dicembre 1962. Il Concilio affrontava il tema del rapporto fra Chiesa e poveri. Sotto le grandi volte di S. Pietro ferventi di attese ecclesiali vibrava ancora il fendente di luce con il quale l’11 settembre, esattamente un mese prima dell’apertura della grande assise, Papa Giovanni le aveva dato il la: Da oggi in avanti la Chiesa di Cristo sarà la chiesa di tutti, e soprattutto la Chiesa dei poveri.Quel 6 dicembre 1962 prese la parola il Card. Giacomo Lercaro, Arcivescovo di Bologna. Disse: Il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre stato ed è, oggi particolarmente, il mistero di Cristo nei poveri… non si tratta di un tema qualunque, ma in un certo senso dell’unico tema di tutto il Vaticano II. L’ultima frontiera ecclesiale in tema di poveri e povertà: i poveri come luogo teologico. I poveri nella Chiesa non saranno più soltanto, e nemmeno soprattutto, i destinatari della carità operosa. No. I poveri, nella nuova antropologia conciliare, saranno i depositari di uno degli approcci più autentici che un uomo possa avere con la vita. Luogo teologico privilegiato. Appena pochi anni prima Lercaro aveva “bruciato” Giuseppe Dossetti come capolista di una pimpante battaglia elettorale che avrebbe dovuto scalzare da Bologna la mitica Amministrazione Dozza. Sonoramente sconfitto, egli stava recuperando il Primato del Libro; al tramonto della sua vita di pastore sarebbe stato quello dell’Uomo che legge il Libro a tutti il leit motiv del solennissimo conferimento della cittadinanza onoraria di Bologna da parte dell’Amministrazione Zangheri. Lercaro parlava a nome del Gruppo del Collegio Belga, un gruppo di Vescovi che in quel collegio si riuniva per portare in Concilio il concentrato di una riflessione che ruotava intorno alla centralità della povertà. La proposta di Lercaro rimase un auspicio. Nell’imminenza della chiusura del Concilio, dicembre 1965, il Gruppo del Collegio Belga rilanciò quella proposta. La chiamarono Schema 14. Di schemi il Concilio ne aveva approvati solo 13.