Il cardinale Gualtiero Bassetti: «No a corruzione nella Chiesa e nella società. Siamo in comunione profonda con papa Francesco»

Perugia: Celebrata la solennità di sant’Ercolano, vescovo e martire, patrono della città e dell’Università degli Studi

celebrazione solennità di sant'ercolano nella chiesa universitaria«La corruzione è entrata, purtroppo, in parti della società civile e si è insinuata anche in alcune strutture della Chiesa. Noi siamo in comunione profonda con papa Francesco, che regge la Chiesa con la forza di Dio e sostenuto, nella sua missione di successore di Pietro, dallo Spirito Santo». Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti durante l’omelia della solennità di sant’Ercolano, vescovo e martire, patrono della città di Perugia e dell’Università degli Studi, celebrata nella serata del 7 novembre nella chiesa universitaria alla presenza di un folto popolo di Dio di studenti, docenti, personale amministrativo e cittadini. Il porporato, nell’evidenziare l’insegnamento cristiano sempre attuale del vescovo Ercolano martirizzato da Totila, re dei Goti, nell’anno 547, perché defensor civitatis, e prendendo spunto dalla Parola di Dio del “Buon Pastore” (Sal 22), ha parlato di Cristo che «si fa modello per ogni pastore: conosce le sue pecore, le ama appassionatamente, le difende, porta sulle spalle con particolare premura quelle stanche e malate, perché nessuna abbia a perdersi. È questo l’atteggiamento che ogni cristiano, e in particolare chiunque abbia un posto di responsabilità, nella Chiesa o nella società, dovrebbe tenere. Questo è lo spirito – ha sottolineato il cardinale – che dovrebbe soggiacere non solo a ogni forma di governo, ma anche semplicemente di prossimità: servire e curare (“custodire” come dice il Papa) le persone che il Signore ci affida. In questo senso si capisce perché dietro ogni categoria di “potere”, o meglio di “responsabilità”, per l’insegnamento evangelico non può non esserci un atteggiamento di servizio e, se necessario, di immolazione. Questo, in particolare, è il compito del vescovo, che, in ogni tempo, è chiamato a farsi carico del popolo a lui affidato. Tanto più il vescovo si conforma al Signore Gesù “buon pastore”, tanto più saprà guidare e custodire il suo gregge».

«Noi, stasera, facciamo memoria di un vero pastore di questa Chiesa – ha proseguito il porporato –, che ha saputo immedesimarsi in Gesù e guidare la sua gente, in tempi assai calamitosi, donando tutto se stesso, fino al sacrificio della vita. Ercolano ha protetto il suo popolo e ha difeso l’intera comunità perugina dal pericolo della violenza, della guerra e della sopraffazione. Non ha esitato a dare la propria vita: non è fuggito, non ha fatto baratto; ha affrontato la violenza degli assalitori con grande fede e il suo sangue, sparso lungo le mura antiche, grida ancora contro l’odio e l’ingiustizia. Grida ancora contro la prepotenza del male che oggi, come allora, pur se con nomi e sembianze diverse, cerca di assalire la nostra comunità, specie negli ultimi tempi, con preoccupanti e inquietanti intromissioni della malavita organizzata».

Gli inni composti in onore dei santi Ercolano e Costanzo e l’olio di nardo per i neolaureati.

Nel salutare i rappresentanti delle Istituzioni civili e accademiche presenti (tra queste il rettore Franco Moriconi e il prorettore Fabrizio Figorilli), il cardinale Bassetti, ha espresso il suo vivo ringraziamento anche al maestro Salvatore Silivestro e al Coro dell’Università degli Studi da lui diretto per il bellissimo inno a sant’Ercolano composto per coro e organo su un testo di papa Leone XIII, vescovo di Perugia dal 1846 al 1878. Una copia di quest’inno il cardinale Bassetti l’ha consegnata al papa emerito Benedetto XVI, che conosce gli inni scritti dal suo predecessore in onore dei santi patroni perugini Ercolano e Costanzo. Un dono che il Papa emerito ha molto gradito, scrivendo al cardinale Bassetti per ringraziarlo. Questa lettera autografa è stata donata dal cardinale all’Università degli Studi affinché possa conservarla tra i documenti della sua ultracentenaria storia.

Il maestro Silivestro, nel ricordare commosso la figura di mons. Bromuri con il quale intraprese una proficua collaborazione culturale, ha annunciato la conclusione della composizione di un secondo inno, questa volta dedicato a san Costanzo, consegnando la prima copia al cardinale Bassetti alla conclusione della celebrazione.

Sempre al termine della S. Messa, la Pastorale diocesana universitaria, diretta da don Riccardo Pascolini, ha presentato un piccolo dono che il cardinale ha consegnato ai laureati nell’Anno accademico 2014-2015. Si tratta un’ampollina contenente l’olio di nardo, componente del Crisma e degli oli dei Sacramenti, «simbolo di un mandato – ha spiegato don Pascolini – per mettere a frutto il tempo investito negli studi, portando nel mondo il profumo di Cristo».

 

IL TESTO DELL’OMELIA

 

Fratelli e Sorelle, Signori rappresentanti di tutte le istituzioni accademiche e cittadine,

ho accolto volentieri l’invito a presiedere la santa eucaristia nella cappella universitaria, nel giorno in cui la città di Perugia e l’intera diocesi ricordano il patrono sant’Ercolano, sotto la cui protezione e benedizione si è posta sin dalle origini la nostra comunità cittadina e la fondazione dello Studium perusinum.

Mi sembra doveroso in questa occasione rendere omaggio anche alla figura di mons. Elio Bromuri, indimenticabile rettore di questa Cappella universitaria, e per decenni instancabile e appassionato sostenitore del culto al Santo. A lui sempre il nostro riconoscente pensiero, che si estende a chi ha ora in carico la custodia di questa chiesa, chiamata ad essere luogo di incontro del mondo accademico e vera “anima” dell’intero complesso universitario. Un vivo ringraziamento anche al maestro Silivestro e al coro, per il bellissimo inno a sant’Ercolano. Un cordiale saluto ancora alle autorità e a tutti i convenuti.

“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla” (Sal 22)

La Parola di Dio presenta a noi stasera la figura del “buon pastore”, che raduna le sue pecore, le conosce una ad una, e dà la vita per il suo gregge. La storia della salvezza è costellata dall’intervento costante di Dio nella vita del suo popolo, quell’antico Israele nomade che rappresenta la prima immagine del gregge, il cui pastore è Dio stesso. Javhè, nell’Antico Testamento, trasmette questa prerogativa ad alcuni suoi eletti, come Abramo, Mosè e i profeti, fino alla venuta del Figlio Suo Gesù Cristo, il “pastore grande”. Con lui comincia il “Nuovo Testamento”, una “nuova ed eterna alleanza”.

Gesù ha il compito di radunare il popolo d’Israele, ma anche di aprire il recinto dell’antico ovile a nuove “genti”, radunandole da ogni parte della terra, per formare una sola famiglia umana. Gesù si fa modello per ogni pastore: conosce le sue pecore, le ama appassionatamente, le difende, porta sulle spalle con particolare premura quelle stanche e malate, perché nessuna abbia a perdersi.

È questo l’atteggiamento che ogni cristiano, e in particolare chiunque abbia un posto di responsabilità, nella Chiesa o nella società, dovrebbe tenere. Questo è lo spirito che dovrebbe soggiacere non solo a ogni forma di governo, ma anche semplicemente di prossimità: servire e curare (“custodire” come dice il Papa) le persone che il Signore ci affida. In questo senso si capisce perché dietro ogni categoria di “potere”, o meglio di “responsabilità”, per l’insegnamento evangelico non può non esserci un atteggiamento di servizio e, se necessario, di immolazione.

Questo, in particolare, è il compito del vescovo, che, in ogni tempo, è chiamato a farsi carico del popolo a lui affidato. Tanto più il vescovo si conforma al Signore Gesù “buon pastore”, tanto più saprà guidare e custodire il suo gregge.

Qualche tempo, Papa Francesco, incontrando i componenti della Congregazione per i Vescovi, ha così tracciato il profilo dei candidati all’episcopato: “Siano Pastori vicini alla gente, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita… Siano capaci di sorvegliare il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto ciò che lo mantiene unito; … capaci di vegliare per il gregge” (27 febbraio 2014). E il popolo saprà riconoscere nel suo pastore il volto del Signore.

Noi, stasera, facciamo memoria di un vero pastore di questa Chiesa, che ha saputo immedesimarsi in Gesù e guidare la sua gente, in tempi assai calamitosi, donando tutto se stesso, fino al sacrificio della vita. Ercolano ha protetto il suo popolo e ha difeso l’intera comunità perugina dal pericolo della violenza, della guerra e della sopraffazione. Non ha esitato a dare la propria vita: non è fuggito, non ha fatto baratto; ha affrontato la violenza degli assalitori con grande fede e il suo sangue, sparso lungo le mura antiche, grida ancora contro l’odio e l’ingiustizia. Grida ancora contro la prepotenza del male che oggi, come allora, pur se con nomi e sembianze diverse, cerca di assalire la nostra comunità, specie negli ultimi tempi, con preoccupanti e inquietanti intromissioni della malavita organizzata.

Il popolo perugino, che per secoli è stato interamente un popolo cristiano, ha sempre amato il suo Santo pastore. Nella figura del vescovo-eroe Ercolano si sono incarnate le migliori virtù cittadine; in nome di Ercolano sono stati redatti gli antichi Statuti, sotto la protezione di Ercolano è stato posto fin dall’inizio lo Studium, con la consapevolezza che i valori cristiani e quelli civici fossero, come lo sono e lo saranno sempre, la base portante della cultura e del sapere.

Una civiltà nasce e si sviluppa se alle sue radici vi è una seria e profonda visione dell’uomo, creato a immagine di Dio e centro di tutto il creato, la cui immensa dignità è difesa da Gesù stesso che per amore di ogni e qualsiasi uomo non ha esitato a dare la propria vita. Questa dignità, unica e indelebile, cuore dell’umanesimo cristiano, vogliamo ancora esaltare e ribadire nei lavori del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale, che inizierà lunedì a Firenze e al quale parteciperanno tantissimi rappresentanti del mondo ecclesiale italiano e molti studiosi.

Quest’anno poi avremo la grazia di vivere anche in diocesi il tempo del Giubileo Straordinario della Misericordia, che inizierà ufficialmente domenica 13 dicembre, con l’apertura della Porta Giubilare della nostra cattedrale. Sarà un tempo felice e privilegiato di pienissima “perdonanza” e di affettuoso abbraccio da parte del Dio della misericordia e del perdono. Sarà un tempo di seria conversione anche per noi, stanchi di una vita talvolta sregolata o che si accontenta di vivere un cristianesimo di facciata, senza che la Parola di Dio penetri nel profondo e apra quegli spazi di bene e di gioia che abbiamo sempre davanti agli occhi senza saperne cogliere il messaggio e l’efficacia. Un tempo favorevole, ancor più denso di “segnali” a indirizzare il gregge verso i pascoli erbosi, ricchi di vero nutrimento. Sia il martire Ercolano ad accompagnarci verso la infinita misericordia di Dio.

Gualtiero Card. Bassetti, arcivescovo

 

1 COMMENT

  1. Sono d’accordo col cardinale di Perugia, laddove parla contro la corruzione della Chiesa ed evidenzia la necessità di pastori onesti per i cristiani. Bella la festa di Sant’Ercolano. Ma la figura storica di Totila è diversa da quella consegnataci dai Dialoghi di Gregorio Magno, che scrisse a oltre 40 anni dalla morte del re goto e sotto l’influsso di un clima culturale assai ostile a Totila, colpevole di essere un eretico seguace delle dottrine di Ario e di aver spodestato il senato romano. Storicamente, anche il re dei Goti nutrì, a suo modo, ideali cristiani di pietà e di giustizia. Procopio di Cesarea, autore della “Guerra Gotica” e contemporaneo di Totila, lo evidenzia bene (e lo evidenzia pur essendo un bizantino, e quindi un “nemico”). Totila non era un barbaro che si abbandonava a crudeltà gratuite. Il re dei Goti risparmiò la vita ai prigionieri bizantini dopo le battaglie del Mugello e di Faenza. Invitò i Goti a comportarsi con giustizia dopo le loro vittorie con queste parole: «Se volete conservare la fortuna che vi è capitata, dovete rispettare la giustizia. Se cambierete condotta, avrete contro di voi Dio. Egli infatti non ha intenzione di proteggere una particolare razza o una determinata nazione, ma chiunque mostri di osservare maggiormente la giustizia». Inoltre, non esitò a infliggere un castigo esemplare a un soldato goto che aveva violentato la figlia di un cittadino romano. Ai generali che gli chiedevano di lasciarlo impunito perché era un buon combattente, rispose: «Non è possibile che un uomo che si è macchiato compiendo un atto di violenza acquisti gloria in combattimento». Quando conquistò Roma, impedì ai Goti di linciare la vedova di Boezio e di infierire sui civili. Nel Liber Pontificalis si legge persino che Totila abitò con i Romani come un padre con i figli (habitavit cum romanis quasi pater cum filiis: Vita Vigili, 7, 107 ). A Napoli, diede viveri alla popolazione affamata e persino alla guarnigione nemica per consentirle una ritirata decorosa. Questi fatti sono tutti riportati nella “Guerra Gotica” di Procopio di Cesarea (Procopio di Cesarea, Le guerre: persiana, vandalica, gotica a cura di Craveri M., F.M. Pontani, Torino, Einaudi 1977). Tradizionalmente, attingendo dai Dialoghi di Gregorio Magno, si attribuisce a un ordine di Totila il martirio di Sant’Ercolano, vescovo di Perugia, da parte di un comandante goto. Mi chiedo come sia possibile che un sovrano capace di tanta illuminata clemenza abbia ordinato l’uccisione di un uomo vecchio e inerme. Una spiegazione storicamente plausibile è che il comandante, nell’impeto del saccheggio, abbia ucciso di propria iniziativa Ercolano e abbia poi addotto come scusa quella di aver eseguito un ordine del re. Del resto, Totila era lontano da Perugia e i suoi soldati, a dispetto delle sue esortazioni al rispetto della giustizia, si lasciarono andare ai loro istinti peggiori approfittando del fatto che il re non era sul posto a controllarli. Purtroppo, la guerra ha sempre avuto questo effetto sugli esseri umani che la combattono, per questo ogni guerra è da evitare a ogni costo. Anche oggi è difficile per un generale prevedere i comportamenti dei suoi soldati quando viene pianificato un intervento militare. Insomma, senza negare che il buon Ercolano perì violentemente per mano delle truppe gote scatenatesi in città e senza voler togliere nulla alle virtù cristiane dell’uomo da dette truppe martirizzato, Totila fu per i suoi tempi un uomo di notevole umanità.

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