Il coraggio della propria fede

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XII Domenica del tempo ordinario - anno A

Chi guarda il fenomeno religioso oggi ha l’impressione che esistano solo due posizioni estreme: il fanatismo e l’indifferenza. Il fanatismo islamico inferocito che compie attentati, e il laicismo della società occidentale che ritiene la religione inutile e contraria alla scienza. Nella cultura europea dominante sembra non esserci posto per una coraggiosa ed equilibrata professione di fede senza fanatismi, ma anche senza cedimenti. La fede cristiana è spesso osteggiata, emarginata, sbeffeggiata. Ciò non accade alle altre fedi, o perché non sono conosciute o perché si ha paura delle reazioni violente di chi non tollera critiche o irrisione. Nel discorso di missione che continuiamo a leggere anche questa domenica, Gesù traccia il modello del discepolo, proprio in situazioni di ostilità da parte del mondo.

L’istruzione inizia con il grido che abbiamo udito tante volte sulla bocca degli ultimi Pontefici: “Non abbiate paura!”. Gesù ha in mente un cristiano coraggioso, sincero, impegnato nella sua fede. Il suo insegnamento si sviluppa in maniera didattica, con immagini contrastanti che intendono facilitare la memoria. Si parla di cose tenute nascoste, ma necessariamente svelate, di tenebre e di luce, di cose sussurrate all’orecchio da gridare sui tetti, di corpo che può perire e di anima che deve salvarsi, di passeri che cadono a terra e di capelli del capo che si perdono. Sono immagini che indicano varie situazioni concrete della vita di fede, fatta di contrasti, con i suoi rischi e i suoi impegni, ma anche con le sue certezze esaltanti, specie la sicurezza della cura amorosa e costante di Dio per i credenti.

È una vita di fede impegnativa che richiede coraggio, coerenza, sacrificio, nella certezza della provvidenza amorosa e vigile di Dio che non dimentica nessuno e valorizza ogni sforzo. Vediamo cosa chiede Gesù ai suoi. Innanzi tutto vuole una professione di fede chiara e aperta, il coraggio di non nascondersi e di non amputare, per una falsa concezione del dialogo a tutti i costi, il patrimonio di verità e di impegno che il Vangelo comporta. Questo è il senso della prima frase, di origine proverbiale, usata da Gesù: “Non c’è nulla di nascosto che non debba essere rivelato, e di segreto che non debba essere manifestato”. Vuole dire che a Dio non si può nascondere nulla. Un atteggiamento incoerente e ipocrita può ingannare gli uomini, ma non Lui che conosce ogni segreto del cuore. Gesù aveva detto: “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (7,21).

Non si può nascondere la fede, sarebbe contraddire l’essere stesso cristiano. La fede non è un fatto privato da tener nascosto nel segreto della propria coscienza, come vorrebbe farci credere certa cultura secolarista molto diffusa oggi. L’idea è ripresa alla fine del nostro brano con la frase: “Chi mi confesserà (omologhéin) davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò (omologhéin) davanti al Padre mio che è nei cieli. Chi invece mi rinnegherà (arnéomai) davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò (arnéomai) davanti al Padre mio che è nei cieli” (vv. 32-33). I verbi usati fanno riferimento alla professione di fede (omologhia) chiara ed esplicita della liturgia cristiana, e al rinnegamento di Pietro in casa di Caifa, dove l’apostolo negò di conoscere Gesù e di aver qualcosa a che fare con lui. La fede ha una dimensione sociale che coinvolge le relazioni tra le persone, perché cambia il modo di vivere dei credenti.

Sarà bene rileggere le chiare e ammonitrici parole di Gesù poste all’inizio del Discorso del monte, perché spiegano bene che cosa intenda dire Gesù con la frase un po’ enigmatica sulle cose nascoste che devono essere rivelate: “Voi siete il sale della terra. Se il sale perde il sapore, con che cosa si potrà rendere salato? Non serve ad altro che a essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta una città collocata sul monte; non si accende la lucerna per nasconderla sotto un recipiente, ma per collocarla sul lucerniere perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,12-16).

I cristiani sono per il mondo ciò che il sale è per le vivande. Se c’è, si sente. Se il sale non dà sapore, è da buttar via come cosa inutile da calpestare come polvere di strada. Il credente non può abdicare alla sua dignità senza meritare disprezzo. La luce non si nasconde, si pone in un luogo dove possa far luce a tutta la stanza. Gesù conclude non con il lancio di una crociata, ma con l’invito a vivere una vita esemplare con umiltà e coerenza. Il Signore poi non ha mai illuso i suoi seguaci con la prospettiva di un futuro di successi. Avrebbe contraddetto la sua stessa vita, che è apparsa ai contemporanei come un fallimento. Egli non ha avuto vita facile: è stato rifiutato, combattuto, perseguitato, ucciso. I suoi seguaci non possono pretendere di più. Tra le circostanze cui vanno incontro c’è anche il rischio non infrequente del martirio. La fede non è un talismano che preserva dalla violenza e dalla morte, non è una polizza di assicurazione sulla vita.

Il credente resta una persona vulnerabile come tutti sul piano fisico, ma ha da Dio la promessa della salvezza eterna sul piano spirituale. Gesù prospetta al cristiano l’eroismo della fede, ma lo rassicura con la certezza che nessuno può togliergli il paradiso: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (v. 28). Solo Dio ha potere di condannare all’inferno, che Gesù designa come “la Geenna”. Il nome indica la valle di Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie e si compivano sacrifici cruenti al dio Molok; provocava perciò negli abitanti di Gerusalemme disgusto e orrore. Il giudizio di Dio non toccherà i credenti impegnati nel testimoniare la propria fede, perché su di loro veglia amorosa la Provvidenza divina.

È vero, i cristiani restano vulnerabili come i passeri venduti per pochi spiccioli sul mercato; possono essere stimati gente di poco valore dal mondo, ma sono preziosi e amati agli occhi di Dio che li prende delicatamente e affettuosamente in mano. Possono essere visti come i capelli del capo che cadono ad uno ad uno con gli anni, ma Dio ha cura di loro perché non vuole che il mondo resti calvo; sarebbe brutto ai suoi occhi. Un mondo senza testimonianza cristiana sarebbe un mondo senza luce e senza sapore, un mondo senza vita e senza giovinezza.

AUTORE: Oscar Battaglia