Il Festival dei Due mondi parla anche alle coscienze

Durante l’evento spoletino si sono tenute sette “prediche” sui vizi capitali. Non un passatempo, ma parole alte sull’interiorità
La chiesa di San Domenico a Spoleto

L’iniziativa di tenere prediche sui sette vizi capitali a Spoleto nel corso del Festival dei Due mondi è stata positivamente valutata dal pubblico e dai commentatori, e considerata anche coraggiosa e anticonformista. Non è una novità assoluta, in quanto già in passato il card. Ravasi aveva presentato l’Apocalisse nell’edizione del 2009. L’idea del direttore artistico Ferrara ha avuto il consenso del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, che ha collaborato alla stesura del programma. I sette predicatori sono stati invitati – questo è il senso dell’operazione – non per fare sfoggio di bravura e intrattenere con il godimento estetico, la bellezza dell’eloquio, l’efficacia delle immagini, la preziosità delle parole, la gradevolezza dei toni di voce. Di tutto questo la storia dell’eloquenza cristiana è molto ricca, e sono rimasti nella memoria i grandi predicatori che affascinavano le folle e trovavano nelle prediche un’occasione di spettacolo. “Pensavo fosse giusto in qualche modo parlare alla coscienza di tutti, e poi risvegliarla anche con la capacità retorica di incatenare l’attenzione, di muovere i sentimenti in una maniera antica, che non è più tanto frequentata”. Così si è espresso Ferrara. Parlare alla coscienza. Non è usuale questo richiamo, che inserisce il tema dell’interiorità e, nel caso dei vizi, quello della moralità personale e dell’etica pubblica, all’interno di un festival dedicato alle arti, prevalentemente quella musicale. E che le prediche non fossero solo spettacolo di esibizionismo retorico si può constatare dai gesti, intensi e, diciamo pure, anche faticosi, tanto che il primo predicatore (e in qualche modo organizzatore del complesso) ha invitato i suoi ascoltatori a esercitare la virtù della pazienza per portare a termine il discorso. C’è anche da dire che, oltre all’alto livello di preparazione dei predicatori e alla loro nota capacità di comunicare, i vizi di per se stessi fanno estrema audience e riscuotono attenzione. Il motivo è che ogni vizio parte da una radice umana positiva e in qualche modo affascinante, dal desiderio di una soddisfazione di istinti primordiali. Per fare qualche esempio, la superbia, trattata da mons. Fisichella, è la deviazione del giusto desiderio di essere se stessi, di essere rispettati e onorati nella società; così l’ira, trattata Enzo Bianchi, parte anche dalla giusta indignazione per le ingiustizie e per il male presente nel mondo. Così ancora l’invidia, trattata da mons. Paglia, parte dall’ammirazione per il bene presente nell’altro, che si desidererebbe anche per sé, e così via. Per un altro verso, chi vuole conoscere se stesso e dare una valutazione alla propria vita può utilmente ascoltare un’analisi di ciò che passa per il cuore e la coscienza dell’uomo. Si potrà dire che qualcuno al Festival ha trovato l’occasione di convertirsi? Chissà.

AUTORE: E. B.