Il Medico che dona la vita

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XIII Domenica del tempo ordinario - anno B

La liturgia di questa domenica ruota attorno ad una parola chiave: vita. La prima lettura, dal libro della Sapienza, afferma che la vita è buona, non contiene veleni, perché Dio la creò sana. Storicamente essa però è stata in mille modi insidiata dalla morte, introdottasi nel mondo per invidia del diavolo. La presenza subdola del Nemico è mostrata all’opera in due figure: in una ragazzina dodicenne, moribonda, con suo padre in lagrime, e in una signora adulta, che andava perdendo vita a causa di una patologia ginecologica.

L’evangelista Marco conduce il racconto in maniera davvero magistrale: riesce a incastrare due episodi, in modo da farne un blocco letterariamente compatto. Lo scopo del racconto non è stupire i lettori per quanto accadde, ma dare un messaggio: Gesù è colui che è stato mandato nel mondo a dare vita a chi la cerca con fede. Il morire non è più la realtà definitiva. Ma seguiamo il racconto evangelico. Gesù arriva in barca, proveniente dalla sponda orientale del lago di Galilea, dove ha guarito un tizio posseduto da una legione di demoni. A lui, che voleva seguirlo, disse di tornarsene a casa sua per annunciare a tutti la presenza del regno di Dio nel mondo.

Al suo arrivo, sulla spiaggia si radunò tanta gente, mentre lui si tratteneva con loro. A questo punto compare Giairo, padre di una ragazzina dodicenne, moribonda, che, tremante di paura, in ginocchio, lo pregava di affrettarsi ad andare a casa sua a guarirgli la figlia. Di quest’uomo si sa solo che era uno dei maggiorenti del luogo. Qualche studioso ha pensato, non senza ragione, che la forma ebraica del suo nome, Ja’ir, potesse essere anche tradotto: “egli risusciterà”; allusione a quanto stava per accadere.

Non sappiamo se questo signore precedentemente abbia mai avuto a che fare con Gesù e nemmeno che cosa pensasse di lui. Certamente qualcuno gli deve aver parlato di un famoso guaritore. Quando un padre ha una figlia moribonda, si attacca a tutto. La sua era una fede era vicina alla superstizione: tutti dicevano che questo strano rabbi era un guaritore bravissimo; valeva la pena provare. Gesù lo incontra là dove egli si trova, con quella sua fede grezza, primitiva, interessata. Quando vengono ad annunciargli che è inutile insistere, perché la figlia ormai è morta, Gesù gli dice di non aver paura, ma di continuare a credere. Si affettano verso casa, dove è già cominciato un rumoroso lamento funebre.

A chi deve credere Giairo: a Gesù o all’assemblea mortuaria vociante, che, tra l’altro, lo stava anche prendendo in giro, perché aveva detto che la ragazzina non era morta, ma dormiva? Gesù caccia fuori tutti, entra nella camera dove era la morta, solo con lui e la moglie. Talithà, qum!, e la vita rientrò nella ragazzina, che si alzerà dal letto, presa per mano da Gesù, si metterà a girare per casa; da giorni non aveva mangiato. Gesù se ne accorge e lo fa presente ai genitori, che impazzivano di gioia. La fede di Giairo ora è piena, lucida, esperienziale: la figlia è viva; Gesù non è solo un bravo guaritore, ma è Colui che dà la vita ai morti. Strada facendo, era accaduto che, mentre la folla vociante gli faceva ressa intorno, Gesù si era fermato e aveva chiesto chi lo avesse toccato. Domanda sorprendente: con quella ressa, va a capire chi lo aveva toccato. Eppure Egli sapeva che qualcuno lo aveva fatto con intenzione. Era stata una donna che da dodici anni – quanti ne aveva la ragazzina moribonda – perdeva sangue ginecologico.

Quella malattia la poneva in una situazione terribile. La legge mosaica ordinava infatti che queste donne dovevano essere considerate impure, non potevano entrare nel Tempio o in sinagoga. Se qualcuno, anche inavvertitamente, veniva a contatto con lei, contraeva la stessa impurità. Essa dunque non potrà mai avere un marito, dei figli; una donna socialmente morta, che si andava spegnendo anche fisicamente. Questa signora non ha più nemmeno i soldi; li ha spesi tutti con i medici, senza risultati.

Il suo è un gesto disperato; sapeva bene che quel contatto avrebbe reso impuro anche colui che lei cercava di toccare. Per questo lo fece da dietro, nella fede di guarire, e la speranza di rimanere incognita. Anche la sua era una fede al confine con la superstizione. A Gesù fu comunque sufficiente per incominciare un cammino di fede anche con lei. La guarigione arrivò immediata, ma la speranza di rimanere incognita andò delusa. Il nuovo cammino cominciò con una confessione generale. Era stata un’impura, ma ora non lo era più. La conferma venne dalle parole del Medico divino: “Figlia, la tua fede ti ha salvata”. A quanto riferiscono i Vangeli, questa è l’unica volta che Gesù interpella una donna chiamandola “figlia”. Si era creato un rapporto nuovo: Gesù ora è per lei un Padre, da cui ha ricevuto vita fisica, affettiva, sociale.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi