Il Poverello e il Sultano

Giornata di dialogo cristiano-islamico al Sacro Convento di Assisi

Una nuova occasione di incontro e di dialogo cristiano-islamico, nello spirito di Assisi: è questo il senso della giornata di studio e di approfondimento che si è svolto sabato 16 ottobre al Sacro Convento di Assisi. L’obiettivo specifico del seminario di riflessione era: il contributo di san Francesco e della città di Assisi nel dialogo con l’islam. Fra le tante suggestioni portate all’attenzione dei presenti meritano alcune sottolineature, tra gli altri l’intervento di Abd al-Wahid Pallavicini, presidente e fondatore della Comunità religiosa islamica italiana (Coreis), di padre Luigi Marioli, ofm conv, direttore del Museo Tesoro della basilica di san Francesco in Assisi, e della principessa Wijdan Fawaz Al-Hashemi, ambasciatrice del regno hashemita di Giordania in Italia. Pallavicini, prendendo spunto dalla lettura del mistico Rumi Galal al-Din, ha detto che la preghiera del nome di Dio è una caratteristica delle tre grandi religioni abramitiche. Tale invocazione del nome di Dio trova punti comuni a volte persino nel suono e nel modo di pronunciare Dio, secondo questo studioso. Tuttavia la prospettiva tracciata da Pallavicini è quella che un sincero credente: sottomettendosi alla volontà di Dio, di fatto, ci si può considerare “musulmani”, perché islam vuol dire sottomissione all’unico Dio, di cui Gesù sarebbe uno dei più grandi profeti. Padre Marioli, con precisi riferimenti storico-cronologici, ha offerto una lettura del viaggio di san Francesco alla corte del sultano Melek-el-Kamel in Terra Santa, la cui immagine è tra l’altro immortalata nei dipinti di Giotto nella basilica superiore. In questo viaggio, piuttosto avventuroso e mosso anche da una certa impreparazione logistica, ma ancor più da tanta audacia evangelica, si possono individuare due finalità: la prima, quella del tentativo di frate Francesco di convertire il Sultano; la seconda, quella di proporre un corridoio di transito libero per i pellegrini che si recavano ai luoghi santi, facendo venir meno così la necessità della crociata. In realtà la missione di Francesco non sortì il suo effetto, ma resta la suggestione di un tentativo di allacciare un dialogo fuori dell’Italia – non la fuga mundi ma la “fuga nel mondo”, cioè la capacità di superare le barriere che non solo geograficamente ma culturalmente separavano le diverse sponde del Mediterraneo. Ciò testimonia la vocazione universalistica del francescanesimo fin dalle origini. Degno di nota è infine l’intervento della principessa Wijdan Fawaz Al-Hashemi, rappresentante diplomatico della Giordania in Italia, che ha proposto all’attenzione dei presenti il caso, a suo modo esemplare, della terra giordana dove fra cristiani e musulmani c’è un dialogo avviato non da oggi, grazie all’influsso marcatamente pluralistico dello stesso movimento hashemita che, fin dagli inizi del XX secolo, guardando alla tradizione illuministica europea, esprime una visione aperta del dialogo interreligioso. Tra l’altro i tre quarti dei cristiani giordani, che appartengono alla Chiesa ortodossa orientale, con minoranze di cattolici e di protestanti, sono generalmente ben integrati in quella società ed hanno un alto livello di libertà. Ma non c’è solo il vissuto della Giordania a rendere interessante questa relazione. È percezione dell’amministrazione giordana che l’esodo dei cristiani dalla terra nativa di Gesù non è una cosa buona, anche per la partenza di tanti giovani di talento che, costretti ad emigrare, rendono più povera quella società. L’ambasciatrice ha fatto notare come la percentuale di cristiani di Betlemme sia in costante diminuzione, per esempio, mentre Gerusalemme – città santa per le tre principali religioni abramitiche – registra un aumento della popolazione di origine ebraica a scapito di cristiani e musulmani. Nella parte finale della sua relazione l’ambasciatrice ha evidenziato come il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani possa raggiungere molti risultati, favorendo un confronto culturale che induca all’interazione fra le diverse parti. C’è poi la presa di coscienza sempre maggiore che il termine “arabo” non si applica necessariamente solo ai musulmani, ma include anche una percentuale importante di popolazione cristiana. Infine, il dialogo interreligioso può disinnescare i possibili conflitti etnici e confessionali che avrebbero conseguenze molto negative per l’intera area mediorientale.

AUTORE: Annarita Caponera