Il profeta non è un mestiere

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XV Domenica del tempo ordinario - anno B

Ogni liturgia domenicale ha un tema di fondo, che ne è anche la catechesi liturgica domenicale. Esso trova la sua fonte nella lettura evangelica. La prima lettura è come la premessa profetica. Gli antichi Padri dicevano: “Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, e l’Antico Testamento si manifesta nel Nuovo”. Nella prima lettura di oggi compare un personaggio che non incontriamo di frequente nelle liturgie domenicali: il profeta Amos. Il suo scritto è incluso nel libro dei dodici Profeti, in genere conosciuti come Profeti minori. Alcuni di loro tuttavia hanno avuto grande risonanza ai loro tempi e anche in tempi posteriori. Tra di essi, Amos.

Nei pochi versetti di oggi, veniamo a conoscere un l’episodio che gli cambiò la vita. Il luogo dove si svolse il fatto è Betel, santuario scismatico del regno palestinese del Nord, edificato, a suo tempo, in opposizione al tempio di Gerusalemme. A somiglianza degli usi pagani, era considerato proprietà personale del re e santuario ufficiale del regno; vi si potevano celebrare solo culti ufficialmente ammessi; chi predicava doveva averne l’autorizzazione e non poteva certamente permettersi di parlare contro il re o la sua politica. Amos lo fece senza autorizzazione. A peggiorare la sua posizione c’era il fatto che proveniva dal nemico regno del Sud; inoltre preannunciava la morte del re, l’esilio della popolazione e la distruzione del santuario. Di fronte a tanto ardire, intervenne il sommo sacerdote Amasia, alta autorità del santuario stesso, che gli ordinò di andarsene a predicare al suo paese. Suonano curiose, alle nostre orecchie occidentali moderne, le sue parole: “Vattene, veggente, nella terra di Giudea, là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare”.

Bisogna sapere che le corti regali dell’epoca e gli stessi santuari brulicavano di pseudo-profeti, che sbarcavano il lunario facendo previsioni lusinghiere e quant’altro. Talvolta erano riuniti in confraternite; in questo caso erano detti “figli di profeti”. Con audacia sorprendente, Amos risponde con le parole riferite dalla liturgia di oggi, che in buona sostanza significano: io non avevo alcun bisogno di guadagnarmi il pane facendo il mestiere di profeta, né vengo da qualche confraternita; io ero proprietario di mandrie e commerciavo anche in sicomori. Dio mi ha preso da lì, così come ero, senza particolare preavviso o preparazione; mi ha fatto profeta e mi ha ordinato di andare a Betel ad annunciare la distruzione del santuario e la morte del re. Non posso farci niente. Quando si dice vocazione! Non poter essere altro da quello che sei.

Simile alla chiamata di Amos fu quella dei dodici apostoli di Gesù. Forse intorno a Gesù in quel momento circolava qualche centinaio di persone. Tra questi ne scelse dodici, per un incarico speciale: l’annuncio del Regno. Nessuno di loro aveva speciali titoli per essere predicatore; nessuno veniva dall’ambiente del tempio o della sinagoga; alcuni avevano lavorato nella pesca; qualche altro era stato impiegato dell’amministrazione romana per la riscossione dei tributi; qualcuno sembrava provenire da gruppi antagonisti. Marco racconta il fatto usando termini assolutamente feriali, ma già carichi di significati. Gesù “chiamò”.

Nell’ambiente della Chiesa primitiva era diventato ben presto un termine nel quale ogni cristiano si riconosceva, perché tutti avevano fatto l’esperienza di essere stati chiamati, “dal non-senso, ereditato dai loro padri, alla novità della vita in Cristo” (1 Pt 1,18). Tutti sapevano anche di essere “mandati”, sebbene con incarichi diversi, a somiglianza dei Dodici. Mandati ad annunciare ad amici, parenti, conoscenti quanto avevano visto e sperimentato: la vita può cambiare; l’orizzonte si può aprire; il sorriso può tornare; è possibile amare anche chi non ti ama. L’evangelista aggiunge alcuni particolari: anzitutto devono andare due a due.

È un embrione di comunità: non è il singolo predicatore, ma una comunità che testimonia la novità del Regno. Del resto i due vanno invisibilmente accompagnati da Lui, che trasmette loro “potere sugli spiriti impuri”, ossia su quelle forze demoniache che schiavizzano l’uomo e lo rendono infelice. Tanto bastava per dare loro sicurezza personale e autorità. Non serve che portino con sé denaro o vestiti di ricambio, e nemmeno bisaccia con i viveri: Dio penserà a nutrirli e a vestirli; è sufficiente avere un bastone e un paio di sandali. Troveranno anche un alloggio adeguato, e non lo stiano a cambiare. Come il Maestro e gli antichi profeti, non sempre saranno accolti. Quando saranno rifiutati, se ne vadano pure tranquillamente. E così fecero: predicavano il Regno, scacciavano gli spiriti impuri, ungevano con olio i malati e li guarivano.

AUTORE: Bruno Pennacchini, Esegeta, già docente all’Ita di Assisi