Il ‘programma politico’ dello Statuto

Si definiscono principi, generali e programmatici, ed indicano le scelte ‘politiche’, di ‘valore’ dello Statuto. Sono i primi 19 articoli che Roberta Vinerba ha letto per noi trovandovi due ‘anime’: quella personalista e un’altra liberal-radicaleSullo statuto regionale, dopo la sentenza della Corte costituzionale, si continua a parlare. Si attendono gli sviluppi sul piano strettamente giuridico e sulle tappe prossime della approvazione definitiva e insieme della definizione della legge elettorale. Ma è interesse dei cittadini anche conoscere i contenuti di quegli articoli che descrivono l’identità regionale, i valori su cui si fonda la sua autocoscienza e i criteri su cui intende orientare la sua azione futura. Lo Statuto, infatti, costituisce la regola primaria sulla base della quale tutti gli altri provvedimenti successivi dovranno commisurarsi. Abbiamo chiesto a Roberta Vinerba una riflessione sui primi diciannove articoli, non per fare un’esame o dare dei voti, e tanto meno per fare polemica, quanto per suggerire alcune piste di lettura e porle a confronto con altre possibili valutazioni, che attendiamo da parte dei nostri lettori. Perchè abbiamo scelto questi articoli? Perchè fanno parte dei ‘Principi generali’ e dei ‘Principi programmatici’, ovvero quel tipo di norme che la Corte Costituzionale nella recente sentenza 378 sullo statuto dell’Umbria definisce come ‘enunciazioni’, ‘proclamazioni’ da collocare ‘sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello statuto’. Leggere i primi 19 articoli dello Statuto Regionale Umbro si ha l’impressione di essere di fronte ad un legislatore in difficoltà nel tenere unite due visioni diverse dell’uomo. Emergono cose molto buone, come ad esempio l’articolo 16 relativo alla sussidiarietà, ed altre decisamente rovinose quali il famoso articolo 9 comma 2 sulla tutela delle forme di convivenza ed anche il 2, piuttosto verboso e confuso: vuole dire molto e in ultimo non dice nulla. Lo Statuto è un lavoro a tratti ben fatto, e lo è in quelle parti che realmente accolgono lo spirito personalista della Costituzione italiana che recepì, quale bussola orientativa di tutto l’impianto, la centralità e la dignità della persona umana, del suo venire al mondo al modo di uomo e di donna, di essere spirituale – razionale per il quale la relazione è costitutiva del suo stesso esistere e che non raggiunge la propria perfezione se non trascendendo l’ordine materiale delle cose. Costitutivi della persona sono i diritti di libertà che non sono mai disgiunti da quelli di solidarietà (essere messi in condizione di esercitare i diritti di libertà). L’individuo invece ha al proprio centro se stesso quale portatore di diritti di libertà ai quali non sono immediatamente legati quelli di solidarietà, lo sviluppo integrale dell’altro non riguarda necessariamente la realizzazione della propria umanità. Negli articoli programmatici dello Statuto a tratti fa capolino l”uomo – individuo’ a tratti la ‘persona umana’ la quale, perché possa svilupparsi integralmente deve essere posta in grado di essere artefice del proprio sviluppo. Bene allora l’articolo 5 che ripudia ogni discriminazione, anche se la formulazione ‘orientamento sessuale’ lascia aperto il campo all’ambiguità dell’ideologia di genere che sembra esservi sottesa (la natura biologica non sarebbe normativa nell’orientamento sessuale). Bene anche l’articolo 7 sulla parità, anche se la ‘fascia protetta’ per le donne all’accesso delle cariche pubbliche, ricorda una sorta di gabbia ideologica della quale comunque lo statuto recepisce dall’orientamento nazionale. Bene tutto quello che è integrazione, sviluppo solidale di collaborazione e sussidiarietà. A tal proposito va ricordato l’articolo 8 (relazioni con gli umbri all’estero e con gli immigrati); il 10 che si fa carico della cooperazione tra le regioni; l’11 che vuole tutelare la memoria storica attraverso la memoria del territorio (l’uomo è anche le proprie radici). Bene ancora il 13 che pone al centro dell’interesse sanitario la persona malata, oggetto dell’attenzione di variegati soggetti (utenti, cittadini, associazioni di volontariato) ed anche l’articolo 14 sull’istruzione del quale speriamo che la valorizzazione dell’autonomia di tutte le istituzioni scolastiche voglia dire l’impegno di offrire alle famiglie la reale libertà di scelta educativa per i propri figli. Così come il 15 tratta il lavoro umano come un diritto di libertà, l’impresa come bene sociale e la piena occupazione come obiettivo primario. È evidente che la forma sottesa a questi articoli è il n. 16 relativo alla sussidiarietà come ‘principio dell’azione politica e amministrativa della Regione’. Il principio assicura e favorisce l’autonomia di iniziativa dei cittadini e delle associazioni (corpi intermedi) e delle istituzioni a vari livelli di competenza. Qui è rispettata la crescita della persona che si sviluppa non solipsisticamente ma inserita in comunità, a partire dalla famiglia. E qui veniamo all’articolo 9: insieme al riconoscimento dei diritti della famiglia fondata sul matrimonio (religioso o civile che sia) la tutela di altre forme di convivenza è una brutta ripetizione di quanto affermato nell’articolo 5 sul ripudio di ogni discriminazione. Ciascuno può convivere con chi vuole, è un fatto che tocca la sfera privata, ma non è utile per la società che ad un contratto privato tra due individui venga chiesto il riconoscimento di contratto pubblico, al quale sono connessi anche doveri,. La famiglia costruisce la società. Il Pacs, ad esempio costruisce cosa, oltre alla disgregazione del sistema sociale? Altro motivo di perplessità lo troviamo nell’articolo 2 titolato ‘identità e valori’. Tra i valori che la Regione assume a fondamento della propria identità si trova la pace. E ci mancherebbe! Ma qual è il motivo per il quale l’Umbria è detta ‘terra di pace?’ Da dove nasce la vocazione europeista citata nel detto articolo? E il fumoso patrimonio spirituale fondato sulla storia civile e religiosa dell’Umbria a cosa si riferisce in realtà? Ci sono due fantasmi che si aggirano entro le pieghe dell’articolo, quelli di san Francesco uomo di pace e di san Benedetto i cui monaci hanno ‘fatto’ l’Europa. Davvero la resistenza e il Risorgimento citati quale fonte storica dell’Umbria, rendono ragione di tutto quello che è affermato nell’articolo 2? Crediamo proprio di no. La mancata menzione delle due figure evidenzia l’anima nascosta, ideologica e forse massonica, dello Statuto che tratta valori laici come il leale riconoscimento della storia come confessionali. La Chiesa continua la sua missione anche senza tale menzione, è la società sganciata dalle sue radici che rischia una brutta fine. Questo problema della memoria storica è ben trattato dall’articolo 10 che in questo contesto, però, spunta come un fungo. Di quale memoria si tratta, è la domanda che sorge spontanea alla lettura là dove si parla di ‘valorizzazione delle vocazioni territoriali’? Ecco dunque evidenziate le due anime dello Statuto, personalista e liberale – radicale, che sono alla base dei problemi che tale carta ha sollevato. Sarebbe, in ultimo, interessante domandarsi, al di là delle trombe ideologiche, se davvero è questa la cultura condivisa di tanta gente della nostra regione, dei tanti che chiedono che i principi programmatici siano espressione della cultura condivisa e non un cavallo di Troia per aprire la strada a normative che interessano una élite ideologica che ha in progetto di cambiare la cultura ‘dall’alto’.

AUTORE: Roberta Vinerba