Il rifiuto di Dio

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia IV Domenica del tempo ordinario - anno C

Siamo ancora nella sinagoga di Nazareth come domenica scorsa, stiamo ancora ascoltando la prima predica di Gesù appena iniziata con le parole di apertura riportate anche oggi dalla liturgia. Gesù sta dicendo che in quel momento si è compiuta la Scrittura da lui proclamata solennemente, la promessa di Dio si è realizzata. Dio ha inaugurato l’anno di grazia, il tempo salvifico (il kairos), egli è entrato ormai in maniera decisiva nella nostra storia. È un modo diverso per dire, come in Mc 1,15: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino”.

Con l’invio di Cristo la sovranità potente e misericordiosa di Dio è venuta nel mondo, Dio è qui accanto alle sue creature povere e bisognose, è già iniziata la liberazione dal peccato e dal male. Gesù ha già cominciato a compiere quei segni che il profeta Isaia ha appena descritto. Unica condizione richiesta è la fede in colui che egli ha inviato, Gesù il Messia di Nazareth. Forse era troppo chiedere questo ai compaesani di Nazareth, che lo avevano visto crescere tra loro senza quei segni particolari che facessero presagire in lui qualcosa di diverso e di superiore. Quel figlio dell’artigiano Giuseppe ora diceva di essere il Messia e addirittura il Figlio di Dio, diceva di essere addirittura il portatore di quella sovranità potente di Dio che salva l’uomo. Luca registra la meraviglia e lo stupore per le parole di grazia così nuove che uscivano dalla sua bocca. È lo stupore che rende muti davanti all’inatteso e al sorprendente.

Gesù ha fatto colpo, ha meravigliato e spiazzato tutti. Quei rozzi paesani sono rimasti in un primo momento tra il trasognato e l’incredulo. Poi si riscuotono e si domandano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Marco ci racconta che fecero rapidamente la radiografia della sua famiglia e non trovarono che gente comune e modesta: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il parente di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le donne della sua famiglia non stanno qui fra noi? E si scandalizzavano di lui” (Mc 6,3). Come si poteva credere che Dio avesse scelto come salvatore un uomo di origini così modeste, che portava la loro stessa tunica e calzava i loro stessi sandali, proprio uno come loro, povero come loro, con l’istruzione modeste che loro avevano avuto?.

È sempre difficile credere in un Dio che veste i nostri panni, che nasconde la sua gloria e la sua potenza nel volto abbronzato di un uomo orientale, cresciuto tra gente comune, senza far trapelare nulla del suo splendore. È preferibile un idolo che lancia fulmini e tuoni, alla maniera di Giove, un idolo che mette paura e incute soggezione. Un idolo con la mano alzata e il dito puntato per comandare e per condannare, un idolo che terrorizza l’uomo, che lo rende muto o lo fa sentire uno schiavo pezzente prono al suo cospetto. Questo è il Dio che sogna l’uomo, quello che è abituato a immaginare e a temete. Fa scandalo un Dio che condivide con amore e pazienza la nostra difficile esistenza, che comprende e perdona, aiuta e conforta, un Dio vicino, un Dio con noi, un Dio amore.

Questo è il Dio che quel giorno a Nazareth ha presentato Gesù, troppo umano per essere accettato, troppo modesto per imporsi. Gesù legge nei volti dei suoi compaesani l’incredulità ipocrita che ha paura di contestare apertamente, ma che pretende di vedere segni e prodigi perché ha sentito dire che quel concittadino è capace di far miracoli come uno degli antichi profeti. Aspettano incuriositi come gente da baraccone di poter vedere qualche numero straordinario ed eclatante. Anche loro figli di quell’umanità curiosa e superstiziosa, che ha sete di miracoli e corre dove si dice che stia accadendo qualcosa di prodigioso. Gesù sconvolge le loro aspettative: non è disposto a dare spettacoli pirotecnici. Risponde con due proverbi piuttosto provocatori che esprimono la sfiducia dipinta su quei volti: “Medico cura te stesso”, facci vedere che cosa sei capace di fare proprio qui nel tuo paese. “Nessun profeta è ben accetto in patria”, non meraviglia cioè che voi non abbiate nessuna fiducia in me, perché questo è accaduto ad ogni profeta nella storia d’Israele; tutti sono stati rifiutati e perseguitati.

Per illustrare il suo pensiero richiama l’esempio di due profeti che hanno compiuto le gesta più benefiche fuori della loro terra, come accadde ad Elia a Sarepta di Sidone (1 Re 17,9-24), o a favore di stranieri, come fece Eliseo con la guarigione di Naaman il siro (2 Re 5,1-19). Se Dio non è accettato, passa oltre, bussa alla porta del vicino. Nessuno lo può bloccare, condizionare o monopolizzare come cosa propria ed esclusiva. Dio non ha confini, tutto il mondo è suo; è compaesano di tutti, egli non fa preferenze perché tutti sono figli suoi allo stesso modo. Gesù è di tutti, egli è sempre in cammino, deve andare sempre oltre, il suo paese è il mondo. L’episodio di Nazareth anticipa profeticamente il superamento del localismo, del nazionalismo che la chiesa apostolica ha compiuto nella storia degli inizi, quando il cristianesimo minacciava di essere incapsulato nel giudaismo con i suoi privilegi di razza e di sangue.

Lo stesso episodio è visto da Luca come una storia anticipata della passione, una prefigurazione del destino che attende il Messia. Nazareth, con la sua reazione fanatica e violenta, è immagine di tutta la nazione incredula che rifiuta e uccide il suo figlio, il Messia tanto atteso, perché non risponde alle sue aspettative: “Venne tra la sua gente e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). La domanda dei paesani riecheggia la sfida dei giudei che scherniscono Gesù: “Ha salvato gli altri, salvi ora se stesso” (Lc 23,35). Il tentativo di linciaggio fuori del loro villaggio anticipa l’uccisione di Gesù fuori della città (23,26) come un falso profeta (Dt 13,6). Gesù sfugge miracolosamente dalle loro mani, come accadrà con la sua risurrezione. A Nazareth si consuma il rifiuto di Dio, un rifiuto sempre presente nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni. Così accade all’Europa di rifiutare le sue radici cristiane e ai tanti battezzati di voler cacciare il crocifisso dai luoghi pubblici e ancor prima dalle loro coscienze. La Nazareth del Vangelo di oggi è edificata nel cuore di ogni uomo che rifiuta o ignora il suo Dio.

AUTORE: Oscar Battaglia