Il Signore viene, andiamogli incontro

Così la Chiesa annuncia l’Avvento, la prima stagione dell’anno liturgico: ne rivela il senso, ne precisa l’impegno. Il tempo di Avvento ha inizio dai primi vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, (quest’anno, la domenica 28 novembre) e termina prima dei primi vespri di Natale. Oggetto della celebrazione dell’Avvento è l’intero mistero della venuta del Signore che così è presentato dal primo prefazio del Tempo: “Al suo primo avvento nella umiltà della nostra natura umana Egli portò a compimento la promessa antica e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa”. Così l’Avvento si caratterizza come tempo di preparazione alla solennità del Natale e, contemporaneamente, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. In realtà l’attesa è unica, perché i suoi diversi aspetti sono coordinati insieme. L’avvento di Cristo nella carne è in funzione del suo avvento mistico nella Chiesa e nelle anime e questo, a sua volta, tende verso la sua consumazione nel ritorno glorioso del Signore, che è il termine ultimo che polarizza tutto il processo della salvezza. Noi già beneficiamo della grazia della prima venuta del Signore, grazia che ha raggiunto in sé la sua pienezza con la sua morte e la sua risurrezione. Con la Pasqua infatti “tutto è compiuto”, eppure noi non godiamo ancora della pienezza della salvezza, la grazia della Pasqua è già in atto nell’universo per il rinnovamento del mondo: essa, tuttavia, non ha ancora riempito tutte le realtà del mondo: “sappiamo bene che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom. 8,22-24). La prima comunità cristiana avvertiva anch’essa, come noi, il gemito interiore della incompiutezza, dell’esilio. Di qui quell’ardente preghiera che sigilla l’intera Bibbia: e che si ripeteva nelle riunioni liturgiche: “Maranà tha”, “Vieni Signore Gesù” (Ap 22,20; 1Cor 16,22). La medesima invocazione deve riempire il nostro Avvento, tanto più quanto oggi la cultura secolarizzata rischia di soffocare l’attesa del Regno che viene, rendendoci più esposti alla seduzione delle illusioni dominanti di un presente senza orizzonte. Desiderare la venuta del Signore è già andargli incontro. Nelle messe domenicali di questo tempo di Avvento, la gioia di stringerci insieme attorno al Risorto, invisibilmente presente in mezzo a noi, accenda il desiderio di contemplarlo a volto svelato nel suo definitivo ritorno, come affermiamo subito dopo la consacrazione: “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Occorre sottolineare di più nella catechesi, particolarmente in questo “anno eucaristico”, questo aspetto escatologico dell’Eucaristia, “pegno della futura gloria” (san Tommaso d’Aquino). Ciò non ci estranierebbe dalla storia. Anzi ne prenderebbe maggiormente forma la spiritualità dell’Avvento che non è estraniazione dal mondo ma un più deciso risvegliarsi dal sonno in ordine alla missione per trasformare il mondo secondo il Vangelo a cominciare dalla nostra testimonianza di conversione.

AUTORE: ' Pietro Bottaccioli