In attesa di risposte credibili

LIBIA. Notizie contraddittorie, e Gheddafi sempre più minaccioso. Intanto le tv trasmettono le immagini di Berlusconi che stringe la mano al dittatore

Fra tante immagini che documentano la crisi libica, due colpiscono particolarmente per la loro distanza. La prima è quella di un cittadino libico collegato fortunosamente a France24 con un telefono satellitare. Il telespettatore vede gli studi ordinati ed efficienti dell’emittente all news francese, ma ascolta la voce di un uomo che parla concitato e scoppia a piangere, mentre cerca di spiegare la violenza a cui sta assistendo. Parlando degli uomini di Gheddafi, dice tra le lacrime: “Una donna si era affacciata ad una finestra per guardare, l’hanno vista e le hanno sparato uccidendola. Gratuitamente! Non sono persone queste, non sono umani…”, poi la linea cade e da qui, dalla “normalità”, si può solo sperare. L’altra è quella dell’ambasciatore venezuelano in Libia che dal suo studio spiega a TeleSur, la rete satellitare del suo Paese, che le notizie diffuse dai media internazionali sono false. Con fare sorpreso, racconta che i negozi sono aperti a Tripoli, la vita è normale e davvero non si può dare fiducia alle notizie che dicono il contrario. La contraddizione stridente tra le due testimonianze mostra lo sforzo di Gheddafi per cercare di sopravvivere a Tripoli. Il Colonnello è ormai solo. Lo hanno lasciato le ragazze a pagamento di cui si circondava, i militari di cui era fiero, e i cittadini di cui si proclamava guida e fratello. Gli rimangono i mercenari, finché avrà denaro per pagarli, e gli amici lontani, come Hugo Chavez in Venezuela che fa parlare in suo favore l’ambasciatore, ma gli ha già fatto sapere che non gradirebbe dargli asilo in caso di fuga. Anche Cina e Russia, in genere più disponibili verso il Rais, hanno votato compatte nel Consiglio di sicurezza dell’Onu i provvedimenti contro il regime di Tripoli, avviando la procedura alla Corte penale internazionale dell’Aja e la confisca dei beni di Gheddafi e dei suoi familiari, con l’intenzione di rendergli più difficile il pagamento dei mercenari. È difficile prevedere quanto durerà ancora questa situazione. Gheddafi è condannato, ma la disumana scelta di far sparare sui suoi stessi connazionali rischia di generare incertezze, dolori e rancori dai cui potrebbero emergere uomini spregiudicati e falsi, che conquisterebbero il potere ma non farebbero il bene del Paese. Quanto prima tornerà la pace a Tripoli, tanto più facile sarà far decollare un cammino democratico in dialogo con la comunità internazionale. Ma quelle stesse reti televisive, dalla Bbc ad Al Jazeera, che oggi mandano in onda il dolore libico e documentano il persistente disagio del mondo arabo, continuano a trasmettere quasi ossessivamente le immagini del premier italiano Berlusconi che bacia la mano e l’anello di Gheddafi, manco fosse il Papa, e quelle del ministro degli Esteri francese Michelle Alliot Marie mentre spiega che non si era resa conto che le sue vacanze natalizie pagate dai parenti di Ben Alì potessero risultare inopportune. Agli occhi dei cittadini e dei politici del Maghreb e del Medio Oriente, quelle immagini definiscono senza dubbi la credibilità dei loro protagonisti. Proprio ora che servirebbe iniziativa politica. In Tunisia, infatti, il cambiamento è appena cominciato: la folla, al prezzo di tre morti, ha ottenuto le dimissioni del premier Gannouchi, che davvero non poteva rappresentare una fase nuova, avendo ricoperto quello stesso ruolo negli ultimi dieci anni con Ben Alì. In Egitto sono state avviate le consultazioni tra Esercito e partiti per concordare le riforme della Costituzione, ma si cammina sulle uova. In Bahrein, mentre scriviamo, è stato occupato il Parlamento. In Oman sono morte almeno sei persone durante le manifestazioni di domenica e i manifestanti tengono bloccate diverse strade del regno… E l’elenco potrebbe continuare. Il fermento del mondo arabo durerà a lungo, e un senso di responsabilità anche minimo chiama a mettere tutte le attenzioni a disposizione per accompagnare questo processo. Non si tratta di “esportare la democrazia” come George Bush delirava a proposito dell’Iraq, quanto di aprire subito partnership a tutti i livelli, università, imprese, società civile, con questi Paesi, perché il presente e il futuro sia camminare insieme, e in questo modo favorire la democrazia e la pace. Ma per farlo, ripetiamo, occorre essere credibili.

AUTORE: Riccardo Moro