In ricordo di mons. Carlo Urru

DIOCESI. Decimo anniversario della scomparsa

La diocesi ha ricordato, giovedì 2 febbraio, il 10º anniversario della morte di mons. Carlo Urru, che ha servito esemplarmente la Chiesa tifernate come Vescovo dal 1982 al 1991. Per la verità ogni anno, il giorno della Candelora, è stata fatta memoria di quel Pastore dal fisico minuto, dal carattere semplice, dalla gentilezza del tratto che con il suo grande amore, le sue opere, fatte senza chiasso, ha lasciato un segno nel cuore di tanti castellani. Dal 1992, giorno della morte, mons. Mario Ceccobelli, vicino a don Carlo a Perugia negli ultimi anni della sua esistenza, ha sempre celebrato per lui la messa sull’altare dei santi Florido ed Amanzio. Anche ieri non è mancato. Mons. Domenico Cancian, per quel poco che l’ha conosciuto, l’ha molto apprezzato; anzi, ricorda che “l’aver voluto essere sepolto nella nostra cattedrale è stato un altro modo di esprimere il suo grande amore per la nostra Chiesa. Il suo motto Spera in Domino esprime bene l’orientamento profondo del suo servizio episcopale”. Ma chi era mons. Carlo Urru? Possono rispondere – tra le tante – due persone che lo hanno conosciuto. Mons. Edoardo Marconi fu suo vicario generale: “Ho avuto modo di ammirarne la carità inesauribile, la pazienza a volte illimitata, la delicatezza paterna negli interventi in situazioni difficili tra il clero o tra i fedeli, il distacco dai beni e dagli onori, lo spirito di preghiera e di sacrificio”. Don Nazzareno Marconi è diventato prete per le mani di mons. Urru: “Il mio ricordo si apre con la sensazione del primo incontro. Abituati a mons. Pagani, ci sembrava anche più piccolo, più anziano e soprattutto più pacifico e timido di quanto fosse, ma il confronto era troppo forte per non restarne colpiti. Nel tempo scoprii poi che anche don Carlo, come lo chiamavano i suoi ex seminaristi, attuali preti, sapeva essere giovane, sapeva tenere duro sulle cose che riteneva giuste, e soprattutto era molto più grande di quello che gli occhi potevano vedere. Ma questa cose le vedemmo solo alla lunga, stando con lui ed imparando ad ascoltarlo ed a stimarlo. Di lui apprezzavo soprattutto il riferimento ricco e chiaro alla Parola del Vangelo, una parola che don Carlo viveva prima di predicare. In questi otto anni da rettore del Regionale di Assisi, spulciando in archivio, ho trovato tante cose che mi hanno fatto amare ancora di più il suo ricordo. Non tutte si possono dire adesso, la storia gli farà onore in futuro; ma su tutto si può rivelare che don Carlo, da rettore del Seminario regionale, visse forse uno dei periodi più difficili nei 100 anni di vita di questa struttura formativa, e riuscì tuttavia a farsi amare dalla gran parte dei suoi seminaristi ed a farsi stimare dalla gran parte dei Vescovi. Da tutti non riuscì, credo con sua grande sofferenza… ma temo che l’impresa fosse davvero impossibile”.