Innanzitutto difficile

Ma davvero il primo di tutti gli attributi della fede cristiana è quello che viene espresso con l’aggettivo ‘difficile’? La nostra fede è veramente innanzitutto difficile? Amico lettore, ti ho candidamente confessato come e qualmente un’affermazione di questo genere mi abbia lasciato, manzonianamente, ‘impicciato’. L”impiccio’ però è durato poco. E ha ceduto il posto alla convinzione che, parlando di fede, in effetti occorra davvero sempre premettere, non come semplice precauzione, ma come dovere di coscienza: ‘La fede è una scelta difficile’. ‘Una scelta’. Si dice che l’ing. Pascal, tra un logaritmo e il prototipo della macchina calcolatrice, borbottasse: ‘C’è abbastanza luce per chi ha deciso di credere, c’è abbastanza buio per chi ha deciso di non credere’. ‘Difficile’ non perché noi (io sicuramente, ma forse anche tu, amabile lettore) siamo duri di comprendonio, ma perché, come insegnava Tommaso dei Conti d’Aquino allorché, alla soglia dei 49 anni d’età e dei 200 kg di peso corporeo, su istigazione diretta del Signore, decise di non scrivere più nulla, l’atto di fede non va alla formula che siamo stati costretti ad adottare, non va alle parole che pronunciamo, ma a quello che c’è dietro alle parole che pronunciamo e alla formula che abbiamo adottato. Le parole, tutte le parole, saranno sempre inadeguate a cogliere i contenuti della fede. Ogni discorso di fede è anche banalizzazione della fede. Ogni omelia nasconde più di quanto riveli. Ogni pubblicazione che riguardi la fede merita un encomio solenne da parte della Radio vaticana e una minaccia di scomunica da parte di un Sant’Uffizio appositamente risuscitato. Nella fedeltà al suo nucleo essenziale (individuarlo è compito essenziale del servizio magisteriale), la fede va sempre prima ripensata, poi riproposta (vulgo: le prediche tocca preparalle!!), ma sempre nella coscienza che quando lo facciamo compiamo un’operazione necessaria, certo!, ma al tempo stesso limitante: Spieghiamo e confondiamo. Riveliamo e nascondiamo. Sempre. ‘Ovunque il guardo giro // immenso Dio ti vedo: // nell’opre tue t’ammiro, // ti riconosco in me’: a Scheggia, 1944/45, quando ancora gli ultimi sgongoli di Wehrmacht risalivano sferragliando la via Flaminia, la maestra Lucrezia Romeggini Bartoli, una cattolico-mazziniana, una pannelliana ante litteram, ci faceva mandare a memoria questi versi di Niccolò Tommaseo, complice una sua bacchetta nera e quadrata, legno duro, oh! se duro!! Qualcuno oggi dice che quei versi hanno danneggiato la causa della fede come poche altre affermazioni. Perché girando intorno lo sguardo a volte si vede dell’altro: uno tsunami, ad esempio. E guardando dentro noi stessi a volte ci viene il voltastomaco.

AUTORE: Angelo M. Fanucci