“Io sono la Via” del ritorno

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini II Domenica di Avvento - anno C

Colpisce il tono generale di allegra esultanza che percorre la liturgia di questa seconda domenica di Avvento. Tutto è in movimento: la parola “via” lega insieme letture e canti di risposta, così pure i verbi che la accompagnano. La liturgia della Parola è aperta da un brano d’intonazione lirica, che il profeta Baruch cantò in vista del prossimo ritorno degli esiliati in Babilonia. Egli interpella Gerusalemme, chiedendole di deporre la “veste del lutto e dell’afflizione”. L’immagine di Gerusalemme oscilla qui fra simbolo e realtà storica.

Nel corso della storia della rivelazione biblica, quest’immagine acquisterà sviluppi sempre maggiori, fino a significare la pienezza del regno di Dio: la Gerusalemme celeste nel libro dell’Apocalisse di Giovanni (cap. 22). Storicamente, al tempo di Baruch, era una città distrutta e quasi interamente spopolata, a causa della deportazione. Agli occhi del profeta, essa assume l’aspetto di una Signora devastata dal lutto e dall’angoscia. Ora il tempo del lutto è finito, perché i suoi figli “hanno pagato il doppio per i loro peccati” (Is 40).

Il Signore le ha preparato uno splendido manto e un diadema per la sua testa. E avrà un nuovo nome, segno della sua nuova identità: si chiamerà “Pace di giustizia e Gloria di pietà”. Così vestita, è invitata a salire in cima alla collina di Sion e a scrutare verso oriente, perché i suoi figli stanno tornando, fra le danze, da quella direzione, da Babilonia. Erano partiti oltre mezzo secolo prima, aggiogati l’uno all’altro, come schiavi, a piedi, incalzati dai nemici. Ora Dio li riconduce su una carrozza regale. Il viaggio non sarà disagiato come quando partirono, su e giù per monti e vallate, ma lungo una pianura, accompagnati da alberi fragranti e ombrosi. Il Salmo responsoriale risponde all’annuncio profetico con il canto di coloro che furono protagonisti di quel ritorno: fu come un sogno! Perfino le genti ne ebbero notizia e diedero gloria a Dio.

Con la lettura evangelica il tono cambia completamente: non più l’intonazione lirica di Baruch e del Salmo 125, ma la registrazione rigorosamente storica di una data: l’inizio dell’èra del Nuovo Testamento. L’autore è Luca evangelista, che ci accompagnerà per l’intero anno liturgico; scrittore formato nello stile letterario degli storici classici. Egli sa che quello che sta per narrare non è un raccontino edificante, posto nell’atemporalità del mito, ma il punto di svolta decisivo e irrepetibile nella storia mondiale. Per questo ne registra con pignoleria i legami temporali con gli avvenimenti di quel momento. Si era al tempo dell’imperatore romano Tiberio; del governatore romano della Giudea Ponzio Pilato; Erode Antipa governava la Galilea, suo fratello Filippo e Lisania governavano buona parte della Transgiordania; il potere giudaico – o quello che di esso rimaneva – era nelle mani del sommo sacerdote Caifa e del suocero Anna.

Gli storici moderni sono concordi nel dire che siamo in un periodo compreso fra il 28 e il 30 d.C. La vocazione del Battista è narrata con estrema concisione, alla maniera degli antichi profeti: “La Parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Giovanni era un nome molto comune; l’aggiunta “figlio di Zaccaria” è come per noi citare il cognome. Il deserto è il luogo dove Dio si manifesta e da dove inizia il cammino di conversione. L’irruzione della Parola su di lui sta a significare che lo Spirito dei profeti ha preso possesso della sua persona. Dopo questa apertura di carattere tranquillamente storico, la liturgia riprende l’andatura movimentata che abbiamo visto.

Giovanni è presentato come un predicatore itinerante che si sposta in continuazione fra il lago di Galilea e il Mar Morto. Sapremo più tardi che la gente andrà a cercarlo proprio in queste zone, lungo il fiume. Si compivano in lui le antiche profezie di Isaia, che esortavano a preparare la via su cui i prigionieri avrebbero incontrato il Signore, che veniva a liberarli, riempiendo i burroni, abbassando le alture, raddrizzando i sentieri tortuosi. Espressioni molto vicine a quelle ascoltate nella prima lettura. L’autore del libro di Baruch si ispirò a Isaia, ampliando e mescolando le immagini. Ancora una volta la liturgia invita i presenti a mettersi in cammino. Per ognuno di noi e per ogni nostra comunità, Dio ha aperto una strada. La fede non può essere un installarsi in pretese sicurezze acquisite; ma piuttosto un’avventura, con i suoi slanci e le sue scoperte, ma anche con le sue pause, i suoi arretramenti e le sue cadute. Importante è ripartire sempre senza rassegnarsi. La Scrittura santa ci garantisce che Dio ha deciso di spianarci dinanzi “ogni alta montagna… di colmare le valli e livellare il terreno”. A noi tocca raddrizzare i nostri sentieri tortuosi, per non rischiare di ritrovarci sempre nello stesso punto.

 

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi