Italiani: troppo privi di regole

di Pier Giorgio Lignani

A Bari, il palazzo del Tribunale penale – un bell’edificio costruito da pochi anni – è stato dichiarato inagibile perché pericolante, e le udienze si svolgono in alcune tende montate dalla Protezione civile, quasi ci fosse stato un terremoto. A Roma, si sapeva da mesi che l’ultima tappa del Giro d’Italia si sarebbe svolta su un circuito di 11 km nelle strade principali del centro; ma, una volta dato il via, si sono accorti che quelle strade erano impercorribili causa buche, e la giuria ha deciso che la classifica finale sarebbe rimasta quella del giorno prima. Sono, questi, due fatterelli degli ultimi giorni.

Ma solo su Roma si potrebbe riempire un libro. Poi tutti si indignano perché i giornali tedeschi pubblicano barzellette umilianti sugli italiani e li dipingono come scriteriati che si credono furbi, pensano di raggirare gli altri e invece si rovinano da soli. E che dovrebbero dire? Carlo Cottarelli – il premier incaricato da Mattarella – negli ultimi tempi ha scritto tre libri per spiegare la situazione economica dell’Italia, e ha messo in luce quanta parte dei nostri problemi deriva dai nostri difetti, distribuiti un po’ su tutti i livelli sociali: disorganizzazione, inefficienza, mancanza di spirito civico, presunzione di superare tutte le difficoltà senza fatica e senza sacrifici, disprezzo per le regole (tranne quelle che “tocca agli altri” rispettare a nostro vantaggio). Certo, non siamo tutti uguali. Però non si può negare che certe tendenze siano diffuse, e che questo è il motivo di tanti risultati deludenti nella vita pubblica e nell’economia nazionale.

Una frase molto ripetuta negli ultimi giorni è: “Non possono decidere gli altri come noi dobbiamo essere governati”. In linea di principio è giusto, ma nel mondo di oggi nessuno è veramente indipendente dal resto del mondo. Se chiediamo soldi in prestito – e non possiamo farne a meno – dobbiamo anche accettare che chi ce li dà voglia avere qualche garanzia. Altrimenti facciamo come il Rodolfo della Bohème di Puccini, che per non chiedere niente a nessuno viveva “in povertà sua lieta”, e siamo contenti lo stesso.