La carità, dovere di tutti

La Caritas italiana compie 40 anni. Come è nata e si è sviluppata a Città di Castello

Agli albori la Caritas diocesana ha visto la collaborazione di più sacerdoti: ricordo don Ferdinando Rosmini e, in modo più stabile, don Luigi Spallacci. Nel 1982, su proposta di mons. Pompilio Mandrelli, sono entrato io, con l’incarico di direttore. Il battesimo “di sangue” della Caritas diocesana sono stati i terremoti del Friuli del 1976, di Norcia del 1978 e dell’Irpinia del 1980. Il primo impegno operativo interno della Caritas fu quello di costituire un gruppo di persone, che, a vario titolo, collaborassero alla strutturazione di essa e al perseguimento delle sue finalità: nacquero così i Gruppi di studio, attorno ad obiettivi specifici, che operavano nei vari settori della carità e contribuirono ad elaborare un primo statuto, approvato dal vescovo Pellegrino Tomaso Ronchi. La finalità fondamentale perseguita con determinazione è stata quella pedagogica: cioè, quella di aiutare tutta la comunità cristiana a comprendere che la carità è un suo dovere e, quindi, di sensibilizzarla ad operare la carità, attraverso una conoscenza sempre più responsabile del territorio e del mondo e a porre in essere gesti finalizzati a rispondere alle esigenze di vita dei vicini e dei lontani. Per questo, ci si adoperò molto per la nascita delle Caritas parrocchiali, le quali non erano intese come dei distaccamenti di quella diocesana, ma organismi al servizio della parrocchia, che vuole vivere la carità come evangelizzazione, nei quali e attraverso i quali la parrocchia vive e opera. Un lavoro dispendioso di energie, ma anche abbastanza gratificante, per la nascita di diverse Caritas parrocchiali, che periodicamente si incontravano e annualmente celebravano il Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali. Attenta alla sua funzione pedagogica, la Caritas diocesana si proponeva di non impiantare servizi da gestire in proprio, ma di dare avvio ad opere cosiddette “segno”, che, una volta avviate, dovevano camminare con le proprie gambe, cioè, con l’impegno di gruppi e di parrocchie. Sono nate con questo intento le case di accoglienza di Santa Croce, di San Pietro a Monte, del Popolo, la Mensa diocesana, il Centro di ascolto antiusura, l’Associazione di volontariato ecclesiale (Ave). Indipendentemente dalla riuscita o meno di questo intendimento, la Caritas diocesana ha cercato di non sostituirsi mai alle comunità locali, rimandando sempre ad esse impegni che dovevano essere onorati da loro. Ha portato avanti l’accoglienza degli stranieri (ancora non si chiamavano extracomunitari), già iniziata diverso temo prima attorno ai nigeriani, soprattutto studenti, allargatasi, poi, ai “marocchini” o extracomunitari provenienti dall’Africa del nord, soprattutto. Anche queste esperienze, molto significative, anche se non prive di fatica, problemi e, perché no, di sofferenze, hanno dato la possibilità di avviare un confronto serio e una reale collaborazione con le istituzioni pubbliche. In questo impegno per la gente, in qualsiasi modo nel bisogno, non può essere dimenticato l’impegno profuso nel servizio ai nomadi, per cercare di facilitare, in modi diversi, il loro inserimento nel nostro contesto, non molto accogliente anche nei loro confronti. Quasi contestualmente con la mia entrata alla Caritas è iniziato il servizio degli obiettori di coscienza e del Servizio civile, a cui è seguito per un certo tempo l’anno di volontariato delle donne: un rapporto assiduo, questo, con i giovani, le loro aspirazioni, i loro problemi, la loro volontà di bene, che ha segnato la mia vita e quella di coloro che si sono posti al loro servizio. Le cose da dirsi sarebbero tante, dato che il mio servizio nella Caritas diocesana è durato la bellezza di diciotto anni, ma ricordo da ultimo, soltanto il Fondo della pietà, pensato come gesto concreto per vivere al momento e nel futuro l’Anno santo del 2000. Fu proposto a tutte le parrocchie, per stimolarle a costituire un fondo di solidarietà permanente a cui attingere per le varie necessità vicine e lontane.

AUTORE: Don Vinicio Zambri