La Cei in assemblea ad Assisi. Riforma del sacerdozio: prete, lucerna di creta che fa luce sul cammino

CEI IN ASSEMBLEA AD ASSISI. La Chiesa italiana nella città di san Francesco per discutere sul futuro del clero nel nostro Paese

Assisi-ceiCome sempre, le risonanze sui media della prolusione del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sono andate nella direzione delle questioni più scottanti di natura etica generale, bioetica ed emergenze sociali. Non passeranno inosservate le ferme affermazioni sulla “famiglia, patrimonio e cellula dell’umanità”, di cui si fanno avanti nuove figure che fungono da “cavallo di Troia… per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano”.

Si spera che vengano riprese e diffuse anche le perentorie affermazioni lucide e incisive sui figli: “Non sono oggetti da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto ad un papà e una mamma”. Agire in contrasto con questa visione antropologica è segno di un nichilismo che si aggira in Occidente distruggendo “lo scopo, la risposta e tutti i valori”.

Ma il cuore del discorso del Cardinale è rivolto ad intra, quasi “in famiglia”: quello sui preti, “primi collaboratori e amici”. Questo è stato anche il tema centrale dell’intera assemblea della Cei nella Domus Pacis della città di san Francesco. In questo discorso, Bagnasco si è servito abbondantemente delle parole di Papa Francesco. Più che una trattazione, ha lasciato un messaggio che non somigliava neppure alla lontana a una ‘lezione’ dei superiori ai seminaristi.

Nulla di tutto ciò. Il vescovo “appartiene” ai presbiteri, come i presbiteri “appartengono” al vescovo e tutti insieme, legati tra loro dal comune fondamento dell’Ordine sacro, sia pure in gradi distinti, appartengono al popolo di Dio. Si tratta di una realtà collegiale che evita la tentazione sempre ricorrente dell’individualismo e il rischio di agire con azione solitaria e autoreferenziale. “Ciò che lo Spirito ha fatto in noi – afferma il Presidente della Cei – toccando in profondità il nostro essere, configurandoci in modo singolare e unico a Gesù Cristo, Capo e pastore, sacerdote e sposo della Chiesa… costituisce il fondamento generativo del nostro ministero e della nostra fraternità”.

Da queste parole emerge piuttosto sfumata la distinzione tra episcopato e presbiterato, nel segno della Chiesa per sua natura gerarchica, come continuamente riafferma Papa Francesco, nella prospettiva di una sempre più intensa comunione nella carità.

Il Presidente non affronta di petto le difficoltà, le incongruenze e le cadute che nel nostro tempo si sono manifestate e rese oggetto di pubblico scandalo, ma invita a non avere paura, a non lasciarsi andare al lamento e allo scoraggiamento, ricorrendo alla preghiera che è sorgente di grazia e di forza, e puntando sulla formazione del clero sia nella preparazione iniziale sia nella formazione permanente. Una formazione non astratta, impregnata di intellettualismo e funzionalismo, in cui si scorge la riproposizione di una sorta di “pelagianesimo” in quanto si appoggia su mezzi umani e sulle capacità organizzative del clero, trascurando l’azione della grazia.

Per spiegare la finalità di questo intervento e dell’intera assemblea Cei, e indicando con esattezza di che cosa stesse parlando, facendo sue le parole di Papa Francesco, Bagnasco ha detto: “È importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi… Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale”.

La figura del prete pertanto è quella di un punto di luce che risplende e illumina senza tema di essere oscurato dalle debolezze umane. Il prete è un uomo, un uomo vero, anche con i suoi limiti, portatore – in lucerne di creta – di una luce inestinguibile che tiene sempre ardente e alimenta come la lampada accanto al tabernacolo; come la Parola “luce ai passi” dell’uomo, anche e soprattutto a quello delle periferie sempre più lontane.

Un prete che legge Bagnasco potrebbe aggiungere che a molti, se non a tutti, è successo e potrà succedere di sentirsi dire, in un’occasione inaspettata: “Padre, le sue parole mi hanno cambiato la vita!”.

La “gratitudine” dei vescovi espressa dal Cardinale nei confronti dei preti, con cui si è concluso il discorso di apertura, è convinta, sincera e piena di “affetto” – come quella di chi scrive e, spero, di chi legge.

Le parole di Papa Francesco

Cari fratelli nell’episcopato… il vostro convenire ad Assisi fa subito pensare al grande amore e alla venerazione che san Francesco nutriva per la santa Madre Chiesa gerarchica… Tra le principali responsabilità che il ministero episcopale vi affida c’è quella di confermare, sostenere e consolidare questi vostri primi collaboratori [i sacerdoti], attraverso i quali la maternità della Chiesa raggiunge l’intero popolo di Dio. Quanti ne abbiamo conosciuti! Quanti con la loro testimonianza hanno contribuito ad attrarci a una vita di consacrazione! Da quanti di loro abbiamo imparato e siamo stati plasmati! Nella memoria riconoscente, ciascuno di noi ne conserva i nomi e i volti. Li abbiamo visti spendere la vita tra la gente delle nostre parrocchie, educare i ragazzi, accompagnare le famiglie, visitare i malati a casa e all’ospedale, farsi carico dei poveri, nella consapevolezza che ‘separarsi per non sporcarsi con gli altri è la sporcizia più grande’ (Lev Tolstoj). Liberi dalle cose e da se stessi, rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il Vangelo chiama carità; e che la gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta… Sì, è ancora tempo di presbiteri di questo spessore, ‘ponti’ per l’incontro tra Dio e il mondo, sentinelle capaci di lasciare intuire una ricchezza altrimenti perduta. Preti così non si improvvisano: li forgia il prezioso lavoro formativo del Seminario, e l’ordinazione li consacra per sempre uomini di Dio e servitori del Suo popolo. Ma può accadere che il tempo intiepidisca la generosa dedizione degli inizi, e allora è vano cucire ‘toppe nuove su un vestito vecchio’: l’identità del presbitero, proprio perché viene dall’Alto, esige da lui un cammino quotidiano di riappropriazione, a partire da ciò che ne ha fatto un ministro di Gesù Cristo”.

AUTORE: Elio Bromuri