La Chiesa si cura con la misericordia

Si è svolto la scorsa settimana il seminario su “Peccato e conversione” organizzato dal Centro di orientamento pastorale

Gratitudine al Papa “per tutto il lavoro” di condanna della pedofilia “che in questi anni sta svolgendo e che risale alla sua presenza alla Congregazione per la dottrina della fede”, presa di coscienza della situazione e delle sfide che, sul piano della pastorale, vengono poste alla Chiesa. Così si è sviluppato il seminario organizzato dal Centro di orientamento pastorale (Cop) su “Peccato e conversione”, che si è chiuso mercoledì 1° dicembre a Fano. Dal Papa esempio e indicazioni. Benedetto XVI ha affrontato senza reticenze l’argomento della pedofilia nella Chiesa, è stato più volte ribadito nel corso dei lavori; “i documenti prodotti e i gesti compiuti – ha evidenziato mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e presidente del Cop, nelle sue conclusioni – stanno davanti a tutti, senza infingimenti o platealità, ma nella consapevolezza di un compito arduo e necessario che dà a tutti noi l’esempio, le indicazioni e la forza di operare verità, cambiamento e nuova progettualità pastorale”. Il vescovo ha poi ribadito l’importanza di “distinguere tra peccato e peccatore” per “superare quel panico morale in cui siamo gettati dai mass media e che non riesce a fare un minimo di gerarchia dei diritti e dei doveri”. In primo luogo, ha sottolineato, vi sono “le vittime, che vanno ascoltate e aiutate a sanare le ferite”; quindi “la punizione del delitto, che aiuta a prendere coscienza della gravità del male”; infine “la cura del peccatore, che non può essere abbandonato a se stesso” poiché “nella Chiesa non c’è mai condanna senza appello, il peccatore è pur sempre chiamato a essere testimone della misericordia di Dio”. Sanare le ferite. Il presidente del Cop ha quindi delineato alcune prese di coscienza in materia che costituiscono “punti di non ritorno”. In primo luogo “ascolto, accoglienza e aiuto alle vittime”: “Le ferite dell’anima non hanno prescrizione alcuna”, ha precisato facendo riferimento a quanto affermato al seminario dal portavoce vaticano, p. Federico Lombardi. “Se le leggi dello Stato a un certo punto chiudono il caso, per noi l’aiuto deve essere per sempre, per aiutare l’animo ferito a riconciliarsi con la vita e la fede”. In secondo luogo, ha osservato mons. Sigalini, la Chiesa deve “non solo lavorare sul fare norme per togliere gli abusi dei preti, ma anche risvegliare attorno a noi attenzione alla positività della sessualità”, ricordando che “qualche volta si scatena una grande malevolenza nei confronti della Chiesa che ha tradito la sua missione e rabbia verso la rigidità dei nostri insegnamenti morali, a fronte di un’incoerenza scandalosa”. Giustizia e misericordia. Ancora, “giustizia e punizione” vanno abbinate a “perdono e riconciliazione”: “Se si parla di tolleranza zero – ha evidenziato il presule – per togliere dalla sfera educativa i pedofili, e questo è giusto, non si può parlare di tolleranza zero come condanna senza appello ed eliminazione dalla vita di una comunità di coloro che sono colpevoli. Non potranno più avere incarichi pastorali con le giovani generazioni, ma sono sempre figli di un padre, il vescovo, e sempre confratelli di tanti altri preti che li devono assolutamente aiutare a superare il male”. Il perdono cristiano “è un valore evangelico”. “Trasparenza e onestà” nel “riconoscere gli errori e nel comunicare le procedure dei nostri comportamenti in queste situazioni” è la quarta indicazione. La stessa “trasparenza e onestà” però, ha aggiunto il vescovo, va vissuta “a tutti i livelli della nostra vita, compreso quello dell’economia e delle finanze”. Infine, guardare a “quante violenze sessuali sui minori si compiono in famiglia”, non per “stornare l’attenzione dal nostro peccato”, bensì al contrario perché “non dobbiamo pensare solo a noi stessi, ma spenderci anche per tutti i fratelli e le sorelle che soffrono e sono lasciati soli”. Visioni nuove. Nell’ultimo giorno del seminario, prima delle conclusioni di mons. Sigalini, la relazione di don Gianni Colzani, docente di Missiologia alla Pontificia università urbaniana, che ha messo in rilievo come la missione appartenga “di diritto alla vita della Chiesa”. Il sacerdote ha invitato a “comprendere la Chiesa entro visioni nuove” accogliendo le sfide di conversione del tempo presente, sottolineando che “il primo annuncio non forma solo colui che l’accoglie, ma anche chi proclama”. Piuttosto “nella prassi missionaria – ha evidenziato – il punto discusso della conversione è la sua dinamica ‘sostitutiva’: non è vista come l’impegno di una coscienza che riorienta la propria vita, ma come un cambio di religione imposto a singole persone o a un popolo. I teorici post-coloniali mettono sotto accusa la mentalità e le strutture di pensiero che sono in gioco nella comunicazione della fede: vi colgono un’inaccettabile presunzione di superiorità che, palese nel passato coloniale, ha oggi forme più sottili ma non meno devastanti. Se applichiamo queste concezioni al nostro mondo italiano, l’interrogativo – ha concluso – riguarda il sapere quanto le comunità siano disposte non solo a insegnare a chi si converte, ma anche a imparare dal loro cammino e dall’opera di Dio in loro”.

AUTORE: Francesco Rossi